"Boss e stragisti al Congresso dei Radicali? Provocazione spudorata". Così il titolo di un articolo su Il Fatto Quotidiano di qualche giorno fa che, come rivendicato successivamente dalle colonne dello stesso giornale, ha bloccato il trasferimento da parte del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria), di 44 ergastolani presso il carcere di Rebibbia per consentirgli di partecipare al 40° Congresso (da qualche ignorante chiamato raduno) del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito.Bene, l'Italia è salva, viva Il Fatto Quotidiano.Purtroppo, al di là delle autocelebrazioni del giornale di Travaglio, non è così.La vicenda è invece paradigmatica di una sottocultura che ha condizionato negativamente la crescita di un paese che sul punto da anni non compie altro che passi indietro.Sulla spinta di questa sottocultura populista e che fonda il proprio successo sull'ignoranza, madre e padre delle paure di chi in questa condizione viene mantenuto, l'Italia non solo non è salva, ma sta messa decisamente male.Allora cerchiamo di fare un po' di informazione, quella che, come da prassi in questi casi, è stata fatta scientificamente mancare.Il trasferimento dei detenuti ergastolani, diversi ex 41 bis, era stato richiesto nell'ambito di un progetto cui questi detenuti hanno aderito denominato "Spes contra Spem", che si potrebbe tradurre con la frase per cui non basta avere speranza ma occorre essere speranza, farsi speranza in prima persona, con il proprio agire quotidiano, come ripetuto quasi ossessivamente negli ultimi anni da Marco Pannella.Con tutti questi detenuti si sono tenuti diversi incontri, ai quali anche chi scrive ha partecipato, quale Segretario del Comitato Radicale per la Giustizia Piero Calamandrei che affianca Nessuno Tocchi Caino nella battaglia volta a far accertare l'incostituzionalità dell'ergastolo cosiddetto "ostativo".Cos'è l'ergastolo ostativo?È quell'ergastolo che esiste, ma che per finalità ora editoriali, ora elettorali, viene negato che esista.Se chiedete ad un passante per strada com'è l'ergastolo in Italia, vi risponderà che in Italia l'ergastolo non c'è, perché tanto prima o poi tutti escono di galera.Ovviamente non è così, ma far credere il contrario alimenta paure che poi determinano vendite di giornali e consensi elettorali per chi si propone come salvatore della patria, essendone invece il boia.L'ergastolo ostativo è quell'ergastolo che viene comminato per aver commesso particolari tipi di delitti di mafia, che impediscono di godere di qualsiasi beneficio penitenziario legato ad un percorso di rieducazione e reinserimento.L'ergastolo ostativo è quell'ergastolo che porterà queste persone, un migliaio circa, ad uscire di galera, come si usa dire con cruda espressione, solamente "con i piedi in avanti".È la morte per pena, molto simile alla pena di morte. A meno che non barattino la loro vita con quella di qualcun'altro: potrebbero uscire vivi, gli ergastolani ostativi, solo se "collaborando" facciano chiamate di reità nei confronti di altri. Solo a quel punto le porte del carcere si potrebbero aprire.Ma "collaborare" nell'unico modo oggi preso in considerazione dallo Stato, facendo cioè incarcerare altri, non sempre è possibile, magari anche volendolo, per mille diverse ragioni, basti pensare alle ritorsioni nei confronti di figli e familiari tipici della criminalità organizzata.Senza contare che una "collaborazione" determinata da motivi egoistici ? non morire in carcere ? non necessariamente risulta sincera o veritiera, potendo rivelarsi calunniosa e non necessariamente restituisce alla società una persona migliore: ma questo ai Travaglio d'Italia non interessa, interessando loro solo la certezza della virile vendetta dello Stato, anche se contraria alla Costituzione.Il punto però è che il problema di questi detenuti è un problema del nostro Paese.Con il sistema attuale le mafie prosperano. È un dato di fatto. La storia e la cronaca testimoniano che le mafie non si sconfiggono solo a colpi di sentenze: per ogni mafioso condannato altre giovani leve sono pronte a prenderne il posto, essendo cresciute nel loro mito.Ciò che alimenta le mafie è una vera e propria sottocultura, che trae la sua forza dalle deteriori condizioni economiche, sociali e culturali in cui larghe fette di Paese vengono mantenute, anzitutto dalle mafie stesse, anche quando indossano il "vestito buono" della politica politicante.I 44 detenuti iscritti al Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito sono stati assassini e stragisti, ciascuno almeno venti se non trenta anni fa. Ora sono altro, lo sono divenuti giorno dopo giorno, nei venti o trent'anni di reclusione che hanno subito e vorrebbero poter esser testimoni e testimonial di una dissociazione ? come quella che portò alla sconfitta del terrorismo ? che lo Stato invece sino ad ora si ostina a non prendere in alcuna considerazione.Per lo Stato o collabori o muori in carcere: questo è il modello fallimentare con cui combattere i fenomeni mafiosi.Il messaggio culturale che questi 44 detenuti potrebbero invece lanciare ? e avrebbero potuto lanciare dal Congresso del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito - è dirompente, soprattutto nei loro territori di provenienza, soprattutto per quelle giovani leve che oggi li considerano come esempi in quanto boss, killer o stragisti: la cultura mafiosa è sbagliata, è sottocultura, c'è un altro modo per poter vivere da uomini e donne in Sicilia, in Calabria, in Campania, in Puglia ed è un modo che ripudia quella sottocultura mafiosa e sposa la legalità su cui solo si può fondare la pacifica e civile convivenza, quella legalità che solo lo Stato può garantire. Firmato ex boss ed ex assassini di mafia.Così, ancora una volta, la sottocultura dell'antimafia populista e di facciata si è contrapposta ad un'altra sottocultura, quella mafiosa. È il Paese, e non certo i Radicali o i 44 detenuti, ad aver perso un'occasione.Per ora. Perché essere speranza di lotta alla mafia - come hanno voluto essere con il coraggio civile maturato in decenni di detenzione questi 44 detenuti - significa non stare lì ad aspettare che qualcun'altro combatta la mafia per loro o per noi, magari solo con quegli strumenti messi in campo sino ad oggi e che hanno garantito alle mafie, come alle antimafie di facciata, lunga vita e prosperità.