Il cuore del disordine mondiale è nel conflitto che contrappone diverse fazioni all'interno del mondo islamico sunnita in Medio Oriente. Un conflitto nel quale le potenze regionali e quelle internazionali si confrontano con alleanze mutevoli e interessi confliggenti. Da lì si originano i drammi contemporanei come il terrorismo, distruzione di intere città, stragi e violenze inaudite in loco   contro la popolazione civile con conseguenza di milioni di sfollati e di profughi con il loro carico di lutti sottovalutati. Prendendo atto di queste realtà bisogna fare di più, e deve fare di più l'Europa, che continua a rifiutarsi persino di collaborare sul piano dell'intelligence. Lo spiega Emma Bonino, la cui esperienza sugli scenari internazionali è ben nota.Il mondo sembra precipitato nel caos. C'è un filo conduttore in questo disordine mondiale?  A me sembra che il filo conduttore sia nel grande scontro in corso all'interno del mondo islamico sunnita. Pochi pensavamo che il cosiddetto risveglio arabo sfociasse immediatamente in una democrazia stabile e ordinata. La stessa cosa è successa altrove in passato, nel passaggio dalle dittature alla democrazia in Sudamerica, in Indonesia, nei Balcani dove siamo da vent'anni e si vedono appena i primi segnali. Non solo nel mondo arabo ma islamico - compresi ad esempio Turchia - è in corso uno sconvolgimento, con alleanze fragili e mutevoli, posizionamenti diversi. Non c'è solo il tradizionale scontro tra sciiti e sunniti, ma anche e soprattutto un posizionamento diverso delle forze all'interno del mondo sunnita: da una parte le monarchie del Golfo di rito e ideologia wahabita e dall'altro il mondo che si rifà all'islam dei Fratelli Musulmani. Con alle loro spalle il coinvolgimento di interessi spesso configgenti delle potenze internazionali. Questo grande sconvolgimento in termini di potenze geopolitiche, economiche, geostrategiche, diplomatiche, ideologiche, etc. ha il suo epicentro in Siria con propaggini evidenti in Libia ed Egitto.  Non c'è spazio per i moderati?  Il cuore dello scontro è l'area del Medio Oriente propriamente detto. Se invece si guarda all'evoluzione delle situazioni tunisina e marocchina c'è uno sviluppo più moderato e democratico.   E così se si guarda al mondo islamico dell'Asia orientale questi elementi mediorientali non ci sono. Ci sono le ambizioni dell'Isis di dare un'impressione di globalità della propria capacità di intervento, ma al sodo il vero groviglio di scontro tra le potenze regionali e internazionali si concentra sulla Siria e - in modo minore in termini di violenza - in Libia, con l'Iraq che è un problema ancor più antico. Siamo di fronte a un grande scontro regionale tra potenze che fino a 20 anni fa non erano in prima linea - come ad esempio Qatar ed Emirati Arabi -, che sono cresciute nell'attuale mondo disordinato e multipolare e che ora hanno interessi da far valere in loco e sono diventati veri attori. Non c'è più solo il confronto fra Stati Uniti e Russia, ma il mondo propone nuove sfide multiple. Si aggiunga poi che questi conflitti sono militarmente asimmetrici: le organizzazioni terroristiche sono mobili e sfuggenti, mentre gli eserciti regolari hanno le loro pesantezze.  Qual è il ruolo della comunità internazionale e dell'Europa in questi scenari?  Mi sembrano abbastanza divise negli interessi concreti. Ovviamente tutti ufficialmente combattono il terrorismo e l'Isis, ma la declinazione concreta cambia. Grandi e medie nazioni sono in teoria alleate ma allo stesso tempo hanno di volta in volta interessi diversi. Non è un mistero che la Francia in Libia sostenga il generale Haftar che è la longa manus di Egitto ed Emirati Arabi. In Iraq e Siria c'è una grande coalizione anti-Isis di una sessantina di Paesi, ma poi questi alleati hanno interessi mutevoli e anche configgenti. La Turchia per fare un esempio ha come primo obiettivo i curdi e semmai l'Isis lo ha alimentato permettendo il passaggio di  jihadisti, finché poi le si è rivolato contro. E questo analizzando i vari Paesi si può vedere caso per caso.  E da questo scaturisce il terrorismo che minaccia anche l'Europa?  Se si guarda i dati gli attentati terroristici nel 2015 sono stati 11mila con 18mila vittime. Quasi tutto si è concentrato in Iraq, Afghanistan, Siria, Niger, Nigeria e Somalia. Il focus dello scontro è su questi Paesi. Con sconfinamenti europei, che sono certo anche avvertimenti e un segnale di presenza globale, ma con cifre molto minori. Si usano lupi solitari che solitari non sono quasi mai. Per drammatico che sia il terrorismo in Europa è uno sconfinamento dal cuore della crisi, e serve soprattutto per la campagna di immagine e di reclutamento.  Cosa si può fare?  Non credo ci sia una soluzione miracolosa che riduca a zero il rischio attentati. Ci sono però cose che dobbiamo fare noi e che non facciamo. Ad esempio, come invoca inutilmente da tempo il coordinatore Ue antiterrorismo Gilles de Keerchove, una maggiore sinergia tra le polizie nazionali, una maggiore integrazione in Europol e Eurojust, un maggior scambio di informazioni fra servizi di sicurezza e intelligence. Ma non lo vogliamo fare nella deriva nazionalista in cui ognuno fa per sé su questi temi già da molti anni. In Europa checché se ne dica si continua nella pratica che ognuno fa da sé su questi temi e gli strumenti sono molto fragili. E capita che soggetti, da alcuni definiti terroristi, per altri sono infiltrati che forniscono informazioni. Poi serve una sostanziale ricostruzione della inesistente politica di integrazione. Anche su questo tema siamo di nuovo a livello nazionale, integrazione e immigrazione non sono competenze europee perché gli Stati membri non l'hanno mai voluto.  Quindi cosa prevede?  Sul fronte internazionale ad oggi gli interessi sono così contrapposti che mi sembra difficile una soluzione diplomatica a breve. Ma questo non vuol dire rassegnazione, al contrario bisogna reagire partendo dalla realtà. Bisogna prendere atto che è in corso uno scontro vero nel mondo islamico, e che su questo bisogna agire. Anche rimettendo in discussione alleanze storiche. Possiamo poi fare cose in casa nostra (le citate questioni di intelligence e integrazione) che non dipendono da Putin, Haftar, Isis o altro. E infine rendersi conto che questa situazione continuerà a lungo se non prendiamo provvedimenti, con lo strascico di drammi umani che non vogliamo neanche più vedere: non solo il terrorismo, ma i rifugiati, i 4mila morti in pochi mesi nel Mediterraneo. Non fa neanche più notizia che abbiamo davanti un cimitero liquido. Poi ci sono 10mila migranti minori scomparsi: che fine fanno, finiscono nel reclutamento estremista, narcotraffico, schiavitù, traffico d'organi? Se mettessimo in fila i 4mila morti e i 10mila scomparsi, la fotografia non ci farebbe orrore?