L‘Europa è la nostra casa, spiega Matteo Renzi guardando lo sfacelo della Brexit. Solo che la casa brucia e un fortissimo vento anti-establishment soffia ad alimentare le fiamme. L’incubo vero per palazzo Chigi - ed è anche l’interrogativo che catalizzerà l’attenzione delle Cancellerie internazionali per i prossimi mesi - è se quelle lingue di fuoco avranno sulle tricolori urne referendarie lo stesso effetto che hanno avuto su quelle dell’Union Jack: una vampata furiosa e il resto è cenere.In verità, c’è da rilevare che proprio il risultato inglese ha permesso al presidente del Consiglio di spegnere sul nascere il focolaio per lui al momento più pericoloso: la Direzione del Pd convocata per ieri che minacciava (perfino Massimo D’Alema aveva fatto sapere che avrebbe parecipato) di diventare una specie di resa dei conti dopo il bagno elettorale amministrativo. «C’è stata la Brexit, dobbiamo rinviare», ha fatto sapere il premier di prima mattina: nessuno ha fgiatato, opporsi era insensato. Lunedì Renzi volerà a Berlino per un vertice con La Cancelliera Merkel ed il presidente francese Hollande: più o meno ciò che resta dell’edificio comunitario dopo il terremoto con epicentro Londra. Il passaggio più impegnativo è allontanare possibili reazioni a catena e spezzare sul nascere il panico che potrebbe divampare tra i cittadini soprattutto per gli effetti sui depositi bancari e sulla situazione economica in generale.Ma poi il presidente del Consiglio sa molto bene che i tizzoni che covano a Roma sono capacissimi di riprendere forza e tornare fuoco vivo. Basta un nonnulla: per esempio il voto contro - casuale, come no - di Ncd e verdianiani al Senato su un cavillo qualsiasi. Risultato: governo battuto e gl istessi che hanno appiccato il falò a fare da pompieri. Alzi la mano chi ci crede.Per non parlare dei cerchi concentrici di incertezza che nelle ultime ore sempre più dal Nazareno si sono allargati nelle ramificazioni del Pd: la slavina amministrativa ha spoerchiato una verità precisa: Matteo non è più l’Uomo Invincibile che guastava i sogni di tanti. Detto questo, tuttavia a tutti è chiaro: sostenitori di Matteo e suoi acerrimi avversari, che la Direzione segnerà uno scontro forse altisonamte ma assolutamente fatuo negli effetti. Non è quello il terreno più agevole per mettere Renzi con le spalle al muro. La vera partita, ieri e ancor più adesso, si gioca nel referendum costituzionale che si svolgerà in autunno.Si tratta di un appuntamento fondamentale che ha al centro un quesito di fondo. Questo: se, come fin troppi segnali dentro e fuori i confini italiani sono lì a dimostrare, il copione che va in scena non è tra destra e sinistra e neppure più tra innovatori e conservatori (schema che tanto piace a palazzo Chigi) bensì tra “popolo” ed elitès, come può fare il capo del governo a togliersi i panni di leader del Palazzo per evitare di essere trovolto dallo tsunami anti-sistema?Giocare a fare lo pseudo populista, il rottamatore che dalla poltrona del potere guida il cambiamento, si è capito che è un canovaccio che non funziona più: i cittadini non lo avallano con il loro consenso. Bisognerebbe forse indossare i panni del difensore delle istituziuoni, e sembra una missione suicida. Dunque?L’unica vera arma che è in possesso di Renzi è l’azione di governo. Prestigiosa e altisonante ma anche complicata da maneggiare perché i magini di manovra, a partire da quelli economici, si sono parecchio ristretti. Eppure altre non ce ne sono, oppure hanno la consistenza della rugiada mattutina. Il governo dovrà mettere nero su bianco la Legge di stabilità entro settembre o al massimo i primi giorni di ottobre: praticamente in concomitanza con la consultazione popolare sulla riforma del Senato. Il vero banco di prova sta qui: sicuramente molto più che nelle alchimie del meccanismo elettorale e del passaggio del premio di maggiorana dal partito alla coalizione. In altre parole Renzi deve giocare nelle prossime settimane il doppio (e a prima vista piuttosto contraddittorio) ruolo di difensore dell’Europa ma anche di concreto stimolatore del suo cambiamento; di protagonista delle indispensabili riforme alla Costituzione e contemporaneamente di difensore e garante degli equilibri istituzionali. Con in più la necessità di mettere in campo qualcosa di davvero persuasivo che modifichi in meglio le condizioni materiali di vita dei cittadini. Un esercizio da equilibristi. Ben sapendo che fuori da questo perimetro c’è una muta di avversari che non aspettano altro che azzannare ai fianchi. Assai più scoperti di prima.