Graziano Cioni oggi ha 70 anni. Ha passato gli ultimi otto a stringere i denti. Non si è perso un’udienza del processo che lo ha visto imputato per corruzione, e poi venerdì scorso assolto in Cassazione con formula piena. Ha cominciato anche un’altra battaglia, parallela e non slegata da quella giudiziaria, contro il Parkinson, l’ospite inglese, come lo chiama lui. Ha visto di tutto e vissuto tante emozioni terribile e diverse. Ma una cosa gli è rimasta più di tutte in testa, ed è un giudizio espresso dal pm che lo accusava a proposito dell’urbanizzazione della zona Castello, quella per cui è finito a giudizio: “Grazie a questa inchiesta siamo riusciti a impedire la costruzione dell’ennesima cattedrale nel desterto”, disse il magistrato. Oggi che la Suprema corte gli ha restituito la verità ma non gli 8 anni di tormento, Cioni ne parla così: “Quando senti una cosa del genere capisci che c’è qualcosa che non va, quello è un giudizio che spetta a un politico, non a un pubblico ministero, che mai pagherà per i suoi errori”.Certo, dopo la sentenza che lo ha visto assolto con formula piena, quasi otto anni dopo l’avviso di garanzia, Cioni racconta di “aver ritrovato fiducia nella giustizia”, ma ha anche capito che la giustizia è una serie lunga e faticosa di tornanti, una strada che a volte costa interi pezzi di vita. Secondo il capo d’imputazione, l’ex assessore-sceriffo che avrebbe potuto strappare la poltrona di sindaco a Renzi, aveva fatto da tramite tra la Fondiaria di Salvatore Ligresti e la Provincia di Firenze, all’epoca presieduta proprio dall’attuale premier. Così la vita e la vicenda politica di Cioni presero una strada assai diversa da quella di Matteo: lui, il comunistaccio securitario, uscì di scena e iniziò la sua battaglia per la dignità. Renzi trovò la strada spianata alle primarie del 2008 e vinse quindi le Comunali fiorentine: fu il suo trampolino di lancio. Fosse rimasto in campo il dalemiano di ferro, chissà se davvero l’attuale premier sarebbe mai riuscito a infilare il corridoio giusto e ad arrivare dov’è oggi.Segnato dalla più infamante delle accuse per un uomo di sinistra, affarismo corrotto, Cioni si è ritirato da una scena in cui avrebbe incarnato l’ormai rara figura dell’amministratore di sinistra tout court. Oggi magari sarebbe uno degli ultimi alfieri della tradizione rossa nelle regioni, sarebbe l’ultimo dei dalemiani. Proprio lui, D’Alema, gli era legato da un sentimento personale fortissimo, oltre che dalla vicinanza politica. Quando nel 1996 a Cioni morì una dei suoi cinque figli, Valentina, in un incidente stradale, “Massimo si fece la strada da Roma alla campagna di Empoli, solo per abbracciarmi”, come racconta Cioni in’intervista al Corriere. Sabato l’ex sceriffo ha ricevuto invece la telefonata di Renzi, che gli ha chiesto “sei felice?”. E gli ha strappato la promessa di un caffè a Roma. Lui ci andrà, ci scherza su e dice che pagherà lui, non sia mai qualche magistrato lo volesse dare per corrotto da un aperitivo alla buvette. Fa capire di sentirsi lontano da Matteo e dal giglio magico, ma non dall’uomo Renzi, che gli ha dato la sensazione di essere “una persona perbene, con un lato buono che è riuscito a mantenere”. Chissà se gli altri lati di Matteo – l’ambizione, la spregiudicatezza, l’abilità di comunicatore – sarebbero divenuti di dominio pubblico, se nel 2008 non fosse arrivato quell’avviso di garanzia.