INTESA TROVATA DOPO ORE DI TRATTATIVE IN MAGGIORANZA

L’ accordo sulla risoluzione di maggioranza in vista del Consiglio europeo di domani e venerdì arriva quando Mario Draghi ha già terminato il proprio intervento. Al suo fianco Luigi Di Maio, che messaggia nervosamente al telefono per definire gli ultimi dettagli della scissione dal Movimento 5 Stelle. È stata una giornata lunghissima quella di ieri a Palazzo Madama, degna del solstizio d’estate, che si è conclusa con l’ennesimo voto a sostegno del governo e del suo piano di aiuti all’Ucraina. La risoluzione dell’esecutivo ha ottenuto infatti 219 voti favorevoli, 20 contrari e 22 astenuti. Con tanto di accordo sul ruolo del Parlamento in caso di prossime crisi internazionali messo nero su bianco. Il governo sarà infatti chiamato a riferire in Aula in vista di summit internazionali e nel caso di eventuale invio di forniture militari a Kiev, all’interno della cornice già definita dal decreto Ucraina approvato nei primi giorni dell’invasione russa.

All’intesa si è arrivati dopo un’intera notte e una mattinata di incontri e tentativi andati a vuoto, sintetizzati da Pier Ferdinando Casini in «un teatrino incomprensibile». Perché col passare delle ore è stato via via sempre più evidente come il Movimento 5 Stelle stesse prendendo tempo per cercare di risolvere i propri problemi interni, sfociati nella scissione guidata da Di Maio e giudicata da Alessandro Di Battista «un ignobile tradimento». E mentre i dimaiani raccoglievano firme, alla fine saranno poco più di dieci al Senato e oltre 30 alla Camera, Draghi ribadiva il pieno sostegno di Roma a Kiev. «L’Italia continuerà a lavorare con l’Ue e il G7 per sostenere l’Ucraina, ricercare la pace e superare questa crisi - ha detto il presidente del Consiglio - Questo è il mandato ricevuto del Parlamento, da voi, e questa è la guida per la nostra azione». Per poi sottolineare che le sanzioni dell’Occidente «funzionano», che «l’Italia vuole l’Ucraina in Europa» e che «continuerà a chiedere un tetto al prezzo del gas russo». Nella discussione generale che ne segue, Ucraina e guai interni ai Cinque Stelle si sovrappongono. Per il leader di Italia viva Matteo Renzi, se da una parte «Draghi, Macron e Scholz hanno reso orgogliosi tutti gli italiani », dall’altra Conte e Di Maio meritano un richiamo: «Non sono uno di quelli che si può scandalizzare se all’interno dei partiti c’è una discussione - aggiunge l’ex premier - se uno si vuole dividere, lo faccia, rispettando l’onore a la dignità di questo Parlamento e non cercando dei finti alibi rispetto alla discussione». Critiche a Draghi dal gruppo di Alternativa così come da Fratelli d’Italia, che per bocca del capogruppo al Senato, Luca Ciriani, ha rinfacciato il viaggio a Kiev «che avviene tre mesi dopo» quello di altri leader conservatori europei. Sostegno pieno da Pd e Forza Italia, appoggio ma con distinguo da Lega e Movimento 5 Stelle. Secondo il capogruppo del Carroccio, Massimiliano Romeo, il sostegno militare è doveroso «per legittima difesa, non per un’aggressione», mentre per quello M5S, Gianluca Ferrara, occorre passare «dalla diplomazia delle armi alle armi della diplomazia». Fuori dall’Aula intanto escono i primi rumors sulla nuova formazione di Di Maio. Si chiamerà Insieme per il Futuro, e tra i big ci sono la sottosegretaria all’Economia Laura Castelli e quello alla Salute Pierpaolo Sileri. Dentro anche i fedelissimi Sergio Battelli e Francesco D’Uva, questore della Camera. Un terremoto di cui Draghi segue dai banchi del governo le scosse d’assestamento, replicando al dibattito con poche battute prima del voto finale. La mente è altrove, poco prima di entrare in Senato aveva risposto «non so, vediamo» a chi gli chiedeva se fosse preoccupato per la tenuta del governo. Sapeva già cosa sarebbe successo di lì a poco, con l’implosione del partito di maggioranza relativa e l’esultanza di altre parti di quella stessa maggioranza e non solo. Per Renzi con la scissione del ministro degli Esteri «finisce la storia del Movimento 5 Stelle», mentre per il leader di Azione Carlo Calenda, assistiamo alla «dissoluzione del nulla». Infine la risoluzione sull’Ucraina passa: ma a pomeriggio ormai inoltrato e con il sole ancora alto, l’impressione tra i corridoi di palazzo Madama è che per alcune ore senatori e senatrici siano stati interessati soltanto a una guerra, quella tra Conte e Di Maio.