Un'ora di colloquio con la presidente del Consiglio, a Palazzo Chigi, assieme al suo vice Francesco Paolo Sisto, ai sottosegretari Delmastro e Ostellari e alla presenza dei presidenti delle commissioni Giustizia di Camera e Senato. Per Carlo Nordio e per la più volte annunciata riforma della giustizia, nella sua parte più sostanziosa riservata alla separazione delle carriere dei magistrati, sembra avvicinarsi la fatidica "Ora x".

Le indiscrezioni circolate dopo l'incontro hanno confermato che il ddl costituzionale dovrebbe essere licenziato da uno dei Consigli dei ministri che si svolgeranno da qui alle elezioni europee (come chiesto da Forza Italia) e, quanto ai contenuti, la novità più sostanziosa, oltre naturalmente alla separazione delle carriere (con tanto di concorsi di accesso separati per giudicanti e requirenti), sembra essere l'istituzione di un'Alta Corte, organismo cui sarà delegato il compito di giudicare sia i magistrati giudicanti che requirenti, in modo da sottrarre il giudizio dell'operato delle toghe alla sezione disciplinare del Csm, nota per la sua indulgenza.

Fonti della presidenza del Consiglio, quando il Guardasigilli ha varcato la soglia della sede dell'esecutivo, si erano affrettate a specificare che quella di ricevere i propri ministri nei venerdì in cui è nella Capitale è una consuetudine, dettata dall'esigenza di fare il punto sui dossier più rilevanti di ogni dicastero, ma è apparso evidente, una volta reso noto il parterre de roi presente attorno alla premier, che si trattava di qualcosa di più importante di un “caminetto” del venerdì. Ne è consapevole per prima la stessa Meloni, che ha già sperimentato nelle precedenti esperienze di governo all'ombra della leadership berlusconiana come la giustizia e in genere i provvedimenti che impattano sullo status quo e sulle rendite di posizione cinquantennali delle toghe siano un terreno minato.

Tornando al merito del ddl, si confermerebbe la previsione di un doppio Csm, mentre restano varie ipotesi sul metodo di elezione, se cioè ci sarà sorteggio totale o mediato, mentre sarebbe stata esclusa l'ipotesi della nomina governativa di metà dei componenti. Vi sarebbe poi l'aumento del numero dei membri laici dei Consigli, con almeno un quarto nominati dal Parlamento. Nei giorni scorsi, quando da via Arenula è filtrato che il ddl era a buon punto, ovviamente le antenne dell'Anm si sono levate per cercare di intercettarne i contenuti ed eventualmente partire con la levata di scudi. Ma una serie di segnali delle ultime ore lasciano pensare che la storia potrebbe essere differente e che vi sia già stata una qualche forma di interlocuzione tra governo e toghe. Da Palazzo Chigi, tanto per cominciare, ci tengono che si sappia che Giorgia Meloni ha più volte detto ai suoi interlocutori che non ha nessuna voglia di innescare una guerra dei magistrati sulla falsariga di quelle condotte da Silvio Berlusconi a partire dalla metà degli anni 90. Il messaggio sarebbe stato ribadito forte e chiaro anche ieri a Palazzo Chigi, ed è difficile pensare che non vi sia un nesso tra questo intento della premier e le parole del presidente dell'Anm Giuseppe Santalucia il quale, a margine della presentazione del congresso di Palermo, ha mostrato un inedito spirito conciliante nei confronti dell'esecutivo, parlando di “confronto”, e negando “l'idea di un potere della magistratura che si fa antagonista rispetto al governo”.

E' probabile dunque che, mentre inizialmente si pensava che Nordio rendesse pubblici i contenuti della riforma dopo il congresso delle toghe (che si terrà dal 10 al 12 maggio) per non irritare oltremodo la magistratura, il palco palermitano possa essere il luogo dove il governo sottoporrà al giudizio dei magistrati i punti salienti del ddl nell'ottica di un confronto costruttivo, anche se il ministro non potrà essere presente a causa della concomitanza del G7 della Giustizia.

Ancor prima potrebbe esserci un incontro tra Nordio e l'Anm a via Arenula, ma l'ipotesi è da confermare. Il metodo della “concertazione” che la presidente del Consiglio vuole perseguire per la riforma non potrà non incidere sul merito della stessa, e non è un mistero che è allo studio più di una formula buona per far “digerire” ai magistrati la separazione delle carriere: una di queste potrebbe essere quella di sacrificare sull'altare della trattativa l'introduzione di qualsiasi ipotesi di sorteggio, misura da sempre proposta da chi ritiene giusto contrastare lo strapotere delle correnti nell'organo di autogoverno della magistratura.

Per avere delle conferme, però, bisognerà ancora attendere anche se c'è chi, come il responsabile Giustizia di Azione Enrico Costa, manifesta scetticismo. “La riforma, il governo non la vuole fare”, afferma Costa. “Per mesi non fanno nulla”, prosegue, poi se ne escono con un ddl costituzionale, che ci costringe in Parlamento a ricominciare tutto da capo, dopo aver già fatto 35 audizioni, invece di fare un emendamento”.

Che Meloni, sui temi della giustizia, voglia muoversi nel solco di una sorta di ostpolitik lo dimostra anche lo stop agli emendamenti di parlamentari della maggioranza che prevedono l'eventualità del carcere per i giornalisti. In un vertice tenutosi giorni fa a Palazzo Chigi, il sottosegretario Alfredo Mantovano aveva illustrato ad alcuni parlamentari della maggioranza il contenuto del ddl sulla cybersecurity. Tra questi, il deputato azzurro Tommaso Calderone aveva fatto presente che occorreva punire, oltre agli “spioni” e ai giornalisti che pubblicano dati riservati ottenuti violando i sistemi informatici, anche coloro che ottengono i dati sensibili e pur non pubblicandoli li utilizzano per ricattare o per averne dei vantaggi economici. Sulle prime Mantovano ha acconsentito alla richiesta di Calderone, ma dopo la formulazione dell'emendamento, che poteva ingenerare confusione su pene detentive molto severe per i giornalisti, da Palazzo Chigi è arrivato l'input di fare dietro-front.