«Figlio di un ufficiale dell’esercito italiano e di una docente di Greco e Latino. Laureato in Giurisprudenza all’Università La Sapienza di Roma, è stato Ufficiale dell’Aeronautica Militare Italiana. Coniugato, con due figli, parla correntemente francese, inglese e spagnolo». Cercando online il profilo di Antonio Tajani, ministro degli Esteri e segretario di Forza Italia, il primo risultato rimanda al sito della Farnesina, che con le parole di cui sopra descrive il leader azzurro. Il quale, all’alba dei 70 anni, sta vivendo oggi la sua migliore stagione politica e nel fine settimana sarà incoronato successore di Silvio Berlusconi.

La dura presa di posizione nei confronti del regime di Vladimir Putin dopo l’uccisione in carcere del più celebre oppositore del Cremlino, Alexei Navalny, è solo l’ultima di una lunga serie di interventi di Tajani da ministro degli Esteri, senza sbagliare di una virgola nei modi e nei toni. E lo stesso vale per la strategia sulla guerra in Medio Oriente, portata avanti in tre fasi: dapprima la condanna senza se e senza ma dell’attacco del 7 ottobre da parte di Hamas; poi il lungo lavorìo diplomatico per far parlare le due parti e soprattutto per fornire sostegno umanitario e logistico ai civili della striscia di Gaza; infine gli avvertimenti a Israele sulla necessità di calibrare la risposta agli attacchi ed evitare vittime civili. Il tutto di concerto con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, il cui feeling con la Farnesina è evidente, e spesso in contrapposizione, invece, con il suo omologo vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, i cui rapporti con Tajani si limitano alla gestione dell’alleanza politica. E niente più. Basti vedere alle differenze proprio nella gestione del caso Navalny, con Tajani che ha tenuto fermo il punto sulle responsabilità «dirette o indirette del Cremlino» nelle stesse ore in cui il leader della Lega parla della necessità che siano «i giudici russi» a «fare chiarezza».

Ma Tajani ha avuto un ruolo fondamentale anche nella gestione del caso di Patrick Zaki, che è potuto tornare a studiare a Bologna dopo anni di detenzione al Cairo, e nel caso di Ilaria Salis, pur prendendosi giorni di critiche per la lentezza con cui la nostra diplomazia ha ottenuto che alla ragazza venissero garantite condizioni di detenzioni migliori, che ora sono finalmente arrivate.

E pensare che, alla morte di Silvio Berlusconi, in molti avrebbero scommesso sulla fine di Forza Italia, in quanto partito personale «nato con il suo fondatore e che morirà con lui». Eppure, Forza Italia è viva ( e Renzi non è ancora riuscito a far nascere Forza Italia viva). E secondo i sondaggi potrebbero addirittura scavalcare la Lega alle prossime Europee, sfondando la doppia cifra. Sarebbe non una vittoria ma un trionfo per gli azzurri, che nei mesi peggiori della malattia del Cavaliere, hanno toccato cifre che difficilmente facevano pensare a una sopravvivenza. Eppure Tajani ha saputo raccogliere l’eredità politica di Berlusconi, che di lui disse «non ha mai sbagliato una dichiarazione in vita sua» e, da principe, diventare re. Destino beffardo, per chi, come il ministro degli Esteri, in gioventù è stato esponente di spicco del Fronte monarchico giovanile. Prima, certo di intraprendere la carriera giornalistica da cronista parlamentare, e poi direttore del Gr1 e collaboratore per dieci anni niente meno che di Indro Montanelli. Fino all’arrivo in politica, “folgorato” da Berlusconi, al quale è rimasto saldamente fianco a fianco tra la fine degli anni ’ 90 e gli inizi dei duemila, poi e capace di ritagliarsi un ruolo di primo piano tra i palazzi delle istituzioni Europee, prima come commissario (Trasporti prima, Industria poi), e poi come presidente del Parlamento europeo. Il punto più alto della sua carriera, almeno fino all’avvento del governo Meloni. Del quale Tajani è espressione di quel centro «riformista, liberale, cristiano e liberale» che tanto piaceva a Berlusconi, pur nella difficoltà, che il cavaliere non ha mai avuto nei suoi governi, di convivere da terzo partner della coalizione.

Eppure Tajani ha saputo porsi come terza via nella lotta a destra tra Salvini e Meloni, facendo della giustizia il cavallo di battaglia di Forza Italia. Prima sostenendo il ddl Nordio, poi lottando per una riforma delle intercettazioni e del processo civile. L’obiettivo finale, si sa, è quella che vine considerata come l’approdo naturale di questa legislatura, almeno stando ai desiderata di Forza Italia: la separazione delle carriere. Solo a quel punto Tajani potrà dire di aver portato a termine uno dei progetti più sentiti di Silvio Berlusconi.