Un bel no referendario, chiaro e tondo. Già. Ma l'interrogativo non cambia: adesso che si fa? Per settimane stampa, tv e, soprattutto, gran parte del suo popolo l'ha pressato affinché facesse sentire la sua voce sulla madre di tutte le battaglie politiche e si confrontasse con gli alleati di centrodestra. Alla fine, Silvio Berlusconi ha accolto l'invito: lunga dichiarazione al Tg5 e vertice con Salvini e Meloni per riproporre la foto opportunity di Bologna. Tutto a posto, dunque? Non proprio. Come spesso avviene quando l'attesa si prolunga, l'esito finale è meno risolutivo di quel che ci si attendeva. Vero è che vale la consumata strategia comunicativa dell'ex Cav: le uniche prese di posizione che spostano voti sono quelle che arrivano a ridosso delle urne. Però il punto è che non è chiaro chi debba spostare e su che cosa. O, se si preferisce, le affermazioni di Berlusconi risultano più significative per quel che hanno taciuto rispetto a ciò che effettivamente hanno ufficializzato.Vediamo. La sortita berlusconiana è servita per denunciare la «deriva autoritaria» che risulterebbe dall'approvazione della riforma renziana. Inoltre il riferimento a Grillo che con «una esigua minoranza» potrebbe prendersi tutto il potere è illuminante. Di qui l'invito esplicito a votare No. Come antidoto, Berlusconi indica alcuni dei punti principali - a partire dall'elezione diretta del capo dello Stato - del pacchetto di misure sottoposte a referendum nel 2006. Che gli italiani però bocciarono. Ora il governo Renzi, per ammissione perfino di settori pd e conseguenti, reiterate proteste della sinistra dem, ne ripropone una parte. Ma il fondatore di Forza Italia reclama comunque l'affondamento, peraltro dopo averla votata in prima lettura in Parlamento, puntando poi a ripescarne segmenti significativi. Insomma la soluzione starebbe nel sottoporre ai cittadini interventi che loro per due volte, una contro il parere di Berlusconi e la seconda invece con l'avallo, hanno mandato al macero. Naturalmente, ciliegina sulla torta, la «nuova, vera riforma» sarebbe frutto dell'azione di un centrodestra a trazione berlusconiana. Della serie: più che un bandolo, un ginepraio. Figlio delle endemiche e ormai innumerevoli contorsioni di un sistema politico che non riesce a trovare un valido e duraturo baricentro.Ma il silenzio berlusconiano è ancor più significativo riguardo al modo in cui arrivare al traguardo. Se infatti nonostante gli autorevolissimi e insisititi appoggi internazionali: ultimo quello di Barak Obama, il No prevale, è difficile immaginare che l'attuale premier resti al suo posto. Qual è la proposta sostitutiva per palazzo Chigi che Berlusconi avanza? E sorretta da quale maggioranza? L'obiezione immediata è che si tratta di materie di competenza esclusiva del capo dello Stato. Giusto. Però nessuno, Mattarella compreso, ha la bacchetta magica: in caso di crisi di governo, il presidente della Repubblica non potrà che chiedere suggerimenti e indicazioni ai leader delle varie forze politiche, per poi decidere in autonomia. Il capo del centrodestra - ma Salvini avverte che, sondaggi alla mano, ora il vero capo è lui... - cosa intende proporre? Al momento la risposta latita. Si vedrà.Ancor più problematica, se possibile, è la definizione di una maggioranza in grado di fare le riforme - compresa quella, importantissima, della legge elettorale - e accompagnare poi gli italiani alle urne nel 2018. L'esplicito riferimento al rischio antidemocratico rappresentato dalla vittoria dei Cinquestelle li esclude dall'orizzonte berlusconiano: ne consegue che l'unica controparte possibile è il Pd. Il che, tuttavia, lungi dal facilitarle, complica le cose. Se vince il No, infatti, che Pd ci sarà? Se resta a leadership renziana, è complicato ritenere che chi ha impostato la revisione costituzionale in un modo accetti di vederla riscritta daccapo. In buona sostanza, Renzi, con già sulle spalle il fardello della sconfitta, dovrebbe accettare un'alleanza con un timbro sull'impianto riformista assai diverso dal suo. Improbabile. Se invece il Partito democratico implode, il pericolo è che venga meno tout court un interlocutore con il quale imbastire il confronto. Allo stesso tempo - e sempre che non si intenda cercare allettanti benché chimeriche sponde grilline facendo leva, ad esempio, su sintonie riguardo meccanismi elettorali di tipo proporzionalistico - immaginare percorsi governativi e di riforme per il tratto finale della legislatura che prescindano o addirittura abbiano contro il Nazareno è fantapolitica, indipendentemente da chi funga da leader dei Democrat.Insomma nonostante Berlusconi sia uscito dal cono d'ombra nel quale si era acconciato per ragioni di salute e motivazioni politiche, il nervo scoperto del fronte moderato del No resta sempre lo stesso: la fumosità di una proposta per un eventuale dopo Renzi. Per dare sostanza ad una simile prospettiva servono scelte politiche strutturali, capaci di essere percepite dall'elettorato, sia effettivo che anche solo potenziale,che si riconosce nel centrodestra, come una alternativa concreta e percorribile. Allo stato si tratta di un'equazione con tante incognite. Magari troppe.