«L’avvocatura è l’ultima professione che ha radici umanistiche e coniuga tecnicità e cultura. Ed è per questo che uno scrittore come Maurizio De Giovanni è qui con noi per parlarci di un argomento drammatico come il femminicidio». E’ l’introduzione del presidente del Cnf Andrea Mascherin all’incontro di ieri, “Il vuoto oltre la violenza”.

E dopo i saluti di Mascherin è intervenuta Maria Masi, coordinatrice della commissione pari opportunità del Cnf: «Quello della violenza di genere - ha esordito Masi - è un tema doloroso ma importantissimo. Da tempo stiamo studiando e sperimentando nuove forme di comunicazione e di certo la scrittura, la narrativa, è uno strumento efficacissimo per veicolare messaggi». E poi il riferimento all’opera di De Giovanni: «Forse non è un caso - ha infatti spiegato Masi - che il titolo dell’ultimo ultimo libro di Maurizio De Giovanni, sia proprio “Vuoto”. Vuoto è infatti la sensazione che più di ogni altra accompagna le donne vittima di violenza. Vuoto è il disordine anche mentale e affettivo che può essere affrontato attraverso la scrittura».

Un concetto quello di vuoto che è stato affrontato anche dall’avvacato Maria Rita Stilo: «Il vuoto si genera anche dopo la violenza. Il vuoto che circonda le centinaia di bambini indirettamente colpiti dalla violenza di genere».

Valentina De Giovanni, del direttivo nazionale dell’Ami, ha invece spiegato l’importanza della formazione: «La violenza, spesso, si trasmette quasi al livello epidermico. Ed è lì che dobbiamo intervenire. Siamo consapevoli che la repressione non è la soluzione e l’avvocato sa più di ogni altro che la denuncia da parte delle donne andrà inevitabilmente a inasprire una situazione molto delicata e difficile. Per questo - ha spiegato Valentina De Giovanni - dobbiamo lavorare su più fronti. Noi per esempio parliamo con i ragazzi già alle elementari per far capire al bambino qual è il giusto comportamento da tenere nei confronti delle bambine». E naturalmente non poteva mancare chi la violenza di genere la vive in “trincea”: «Quello della violenza di genere - ha infatti spiegato Angela Altamura, dirigente anticrimine della questura di Roma - si basa su un legame malato che spesso lega vittime e carnefice». Di più: «E troppe volte - ha spiegato la dottoressa Altamura - si ha difficoltà a capire che si è vittime perché chi commette la violenza ha le chiavi di casa».

L’avvocato Rosa Pepe dell’associazione Artemide ha parlato di violenza di genere come «secondo olocausto, perché anche quello era un attacco al genere, al diverso.

Oggi la donna muore in quanto donna». Poi i freddi, drammatici numeri: «Da noi una donna muore ogni 72 ore e non c’è un ministro per le pari opportunità, nessun partito ha nel programma misure di contrasto alla violenza di genere» ha spiegato Pepe. «Le donne spesso non riconoscono l’atto di violenza come un reato. Allo sportello vengono e dicono “è colpa mia”, e anche le forze dell’ordine sono impreparate e non hanno il metodo di approccio alla vittima di violenza. Le donne alla fine vengono uccise da un mondo di ignavi, quelli che si voltano dall’altra parte. Dopo la violenza non deve esserci il vuoto ma la rinascita, ma solo se tutti noi vestiamo i pesanti abiti di sentinelle del diritto».