Non piace neppure all’Anm la norma del ddl penale che impone a tutti i detenuti di partecipare alle udienze solo in “videoconferenza”. La misura proposta da Nicola Gratteri e finita nella riforma del processo viene liquidata così da Eugenio Albamonte, nuovo presidente del “sindacato” dei giudici: «Con la partecipazione a distanza si determina un gap di effettività della difesa», ha detto il magistrato. Che ha poi fatto notare come l’unica ragione ispiratrice della misura si trovi «in esigenze di spesa e non di carattere processuale: c’è un disipimpegno negli investimenti sulla giustizia». Resta il fatto che persino le toghe “ripudiano” una restrizione che è alla base delle proteste dei penalisti.

C’è una norma del ddl penale che sembrerebbe non avere padri: la partecipazione in “videoconferenza” dei detenuti alle udienze. È il cosiddetto processo a distanza. Una novità che in realtà ha un proprio ideatore: si tratta di Nicola Gratteri, oggi procuratore di Catanzaro ma, all’epoca della prima stesura datata 2014, presidente di una commissione di studio incaricata di proporre modifiche alla legislazione antimafia. Dai lavori di quell’organismo sono venute diverse proposte, anzi un vero e proprio articolato definito nei dettagli come un disegno di legge, e non limitato certo al contrasto del crimine organizzato. Quelle proposte per la gran parte non sono state mai incardinate in Parlamento. Solo poche norme sono entrate a far parte dei testi esaminati dalle Camere, e una di queste è appunto la partecipazione “in remoto” dei detenuti ai processi che li riguardano.

Su questa “sterilizzazione” delle udienze si concentra la maggior parte delle critiche rivolte dai pe- nalisti alla riforma di Andrea Orlando. Se la settimana appena trascorsa ha visto l’astensione dalle udienze da parte dell’Ucpi è soprattutto per quel passaggio della legge, approvata in Senato e in attesa del visto definitivo di Montecitorio. A suscitare le critiche dell’Associazione magistrati sono invece altri aspetti, in primis l’avocazione obbligatoria delle Procure generali in caso di “inerzia” dei pm. Ma della norma sui processi in videoconferenza, il nuovo presidente Anm Eugenio Albamonte si è detto tutt’altro che entusiasta in un confronto radiofonico con il presidente delle Camere penali Beniamino Migliucci andato in onda giovedì sera a “Zapping”, su Radio 1 Rai. «Il fatto che il detenuto segua l’udienza in carcere anziché essere presente in aula davanti al collegio giudicante è sì una norma che determina un gap di effettività della difesa», solo che non la si può considerare, ha tenuto a dire il vertice dell’Anm, «legata a esigenze di carattere processuale, ma solo a ragioni di spesa: il problema è la scarsità di investimenti nella giustizia». Che è un modo per allontanare dai magistrati la responsabilità di questa discutibile modifica. Migliucci non ha preso bene l’analisi di Albamonte. «Le ragioni dell’Anm non sono una giustificazione, l’economia non può mortificare l’esigenza di diritto e giustizia dei cittadini». In realtà il presidente dell’Associazione magistrati pensa la stessa cosa. Liquida la proposta Gratteri come un discutibile eccesso di economicismo, la ascrive a quelle distorsioni figlie di una sottovalutazione della giustizia come priorità dello Stato. Ma insomma, dal suo giudizio si comprende come Gratteri non sia certo popolarissimo, nel cosiddetto “sindacato” delle toghe.

Proprio mentre il nuovo vertice dell’Associazione magistrati prendeva le distanze dalla “sua” norma, Nicola Gratteri varcava le soglie di Palazzo Chigi per una «visita di cortesia istituzionale» al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Una curiosa coincidenza, che non sembra prefigurare, comunque, una riproposizione del magistrato calabrese per incarichi di governo. Non dovrebbe replicarsi la scena del febbraio 2014, quando solo le obiezioni di Giorgio Napolitano impedirono a Matteo Renzi di avere Gratteri come ministro della Giustizia. Il peso assunto in seguito dal pm e dalla sua commissione di studio è stato limitato. Eppure, il fatto che alcune sue proposte siano prossime a tradursi in legge vuol dire che persino un guardasigilli come Andrea Orlando, attento al tema delle garanzie, non ha potuto tenere del tutto fuori dalla porta le spinte giustizialiste che attraversano la maggioranza. E che in certi casi riescono a lasciare spiazzata persino la magistratura.