In carcere dove ci sono detenuti per reati di mafia possono accadere eventi quasi inaspettati, commoventi e di forte impatto emotivo. Accade che Fiammetta Borsellino, la figlia più giovane del giudice Paolo dilaniato dal tritolo della mafia nell’ormai lontano 19 luglio del 1992, è stata invitata dalla redazione di Ristretti Orizzonti del carcere di Parma, dove era recluso al 41 bis Totò Riina. Ha accettato l’invito e ad accoglierla, oltre alle giornaliste Ornella Favero e Carla Chiappini che coordinano il giornale, ci sono stati una decina di detenuti che hanno già oltre 20 anni di carcere alle spalle ed alcuni di loro sono ergastolani ostativi, coloro che sono davvero in fine pena mai. Frutto di leggi emergenziali nate proprio come risposta alle stragi di mafia, compresa quella di Via D’Amelio. Fiammetta è stata lì con loro, guardandosi negli occhi per parlare di mafia, carcerazione dura, vendetta inutile e riparazione. La figlia di Paolo Borsellino ha detto di credere nella riparazione, nella possibilità che anche un mafioso possa redimersi, prendere le distanze e, appunto, riparare al danno. Non mette in discussione il car- cere, ma ci tiene a sottolineare che l’inasprimento delle condizioni detentive sono dovute dal fatto che la violenza genera risposte violente, ed «è per questo che va rifiutata a monte», ha detto Fiammetta. «Io non ho mai pensato che il dolore che provo sia diverso da quello del figlio di un mafioso ucciso», ha tenuto a ribadire davanti ai detenuti. Parole che hanno generato momenti di commozione. Ma non solo.

Come ha detto in una intervista a Il Dubbio l’ex ergastolano Car- melo Musumeci, un detenuto che ha commesso crimini come quelli mafiosi, si rende conto di essere colpevole solo quando ha i contatti con le persone esterne. «Questo accade quando una parte della società ti prende in considerazione e vuole aiutarti nonostante il danno che hai causato», aveva detto Carmelo. Figuriamoci quando a prenderli in considerazione è la figlia del magistrato Borsellino. Non è un caso che, proprio all’intervista pubblicata su Il Dubbio, a proposito della sua visita ai fratelli Graviano al 41 bis ( poi negata dalle procure), Fiammetta dichiarò: «Questa mia scelta non l’hanno capita. Probabilmente fa più paura agli altri che a me, perché per me invece è una sconfitta averli interrotti. Alla luce di questo vuoto che c’è attorno a questa storia dell’attentato, pensare che le persone che probabilmente sanno, siano state confinate in un regime così tremendo, è per me una sconfitta».

Sempre Fiammetta – si apprende da una bella ricostruzione dell’evento pubblicata sulla Gazzetta di Parma a firma di Chiara Cacciani - ha ricordato ai detenuti che suo padre gli aveva dato un insegnamento importante. Ovvero che si può morire con dignità, quando si vive con dignità. «E si può morire con dignità anche quando, dopo aver fatto cose gravissime, si arriva a riconoscere i propri sbagli, a prendere le distanze e a cercare di riparare», ha aggiunto Fiammetta.

Neanche a farlo apposta, la figlia di Borsellino ha evocato la giustizia riparativa, una pratica che teoricamente esiste nel nostro Paese, ma concretamente da qualche anno si svolge attraverso delle sperimentazioni di incontri di mediazione reo/ vittima mediante l’intervento di un terzo indipendente rispetto agli operatori deputati al trattamento, su autorizzazione specifica del ministero attraverso la stipula di convenzioni ad hoc con centri e uffici di mediazione sparsi sul territorio nazionale. Queste attività devono necessariamente conservare le caratteristiche loro proprie legate ai principi di confidenzialità, volontarietà e gratuità degli interventi. Un esempio virtuoso è il “Progetto Sicomoro”, patrocinato dal ministero della Giustizia. Il nome si ispira al brano evangelico in cui Zaccheo si nasconde fra i rami dell’albero, ma viene riconosciuto da Gesù, che lo chiama per nome e suscita in lui un ravvedimento. La giustizia riparativa era anche contemplata dalla riforma originale, oramai depennata per sempre. Ma nella giornata dell’incontro con i reclusi per reati mafiosi, diversi “Zacchei” ravveduti hanno potuto dialogare e confrontarsi. Fiammetta poi ha lasciato il carcere, promettendo la condivisione di un progetto comune, magari coinvolgendo le scuole del sud.