Voleva entrare nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale Fajr di Teheran dove la figlia Armita è in coma da domenica scorsa. Ma la struttura, che appartiene all’esercito iraniano, è circondata da un impressionante cordone di polizia e di uomini della sicurezza che l’hanno fermata e messa immediatamente agli arresti.

Lo riferisce la ong per i diritti umani con sede in Norvegia Hengav, la stessa che aveva denunciato il brutale pestaggio della 16enne Armita Garavand da parte della polizia morale iraniana avvenuto lo scorso 1 ottobre. Era stata fermata in una stazione della metropolitana della capitale assieme a tre amiche perché non indossavano il velo islamico; la ragazza avrebbe protestato accesamente con gli agenti e per questo è stata spintonata a terra dove ha battuto la testa subendo un gravissimo trauma cranico.

«È stato un abbassamento di pressione», avevano detto le autorità, negando le violenze e mostrando un video in cui si vede Armita priva sensi sulla banchina del metrò mentre le amiche tentano di rianimarla. Ma l’alterco con la polizia è avvenuto all’interno di un vagone dove non ci sono telecamere a fornire testimonianza.

E aveva destato molto sospetto la docile reazione della famiglia che ha sposato la versione ufficiale parlando di «un malore». Secondo gli attivisti di Hengav gli agenti della polizia morale coinvolti nell’aggressione sarebbero irreperibili e negli scorsi giorni non si sono neanche presentati al lavoro.

Inoltre i familiari di Armita avrebbero subito pesanti minacce da parte del regime che gli ha imposto il silenzio nel timore che il caso possa risvegliare le proteste di piazza come era accaduto lo scorso anno con la curda Masha Amini, anche lei fermata perché non indossava il velo in modo corretto e poi morta in seguito alle percosse della polizia morale. «La storia si ripete, questa è la drammatica realtà che vivono le donne iraniane», ha commentato Sarah Raviani, avvocata iraniano-statunitense che ha npubblicato le immagini della giovane intubata nel suo letto di ospedale.

L’arresto della madre conferma che i parenti di Armita non sono affatto liberi di esprimersi e che le minacce sono dannatamente concrete, altro che propaganda dell’opposizione come sostengono gli ayatollah.

Il sito di opposizione IranWire racconta che anche gli amici i compagni di scuola e persino gli insegnanti della ragazza hanno subito intimidazioni da parte del regime: «Il direttore della sicurezza del ministero dell’Istruzione ha visitato la scuola di Armita Geravand e ha minacciato i suoi insegnanti. La condivisione di qualsiasi notizia o foto della giovane sui social media da parte dei suoiprofessori avrebbe comportato pesanti multe e la risoluzione immediata dei loro contratti, mentre per gli studenti c’è il divieto totale di condividere informazioni».

La vicenda, oltre a scuotere il mondo della dissidenza iraniana ha varcato i confini nazionali provocando reazioni e dichiarazioni indignate da parte di diversi esponenti politici occidentali, come ad esempio l’inviato speciale americano in Iran Abram Paley il quale si è detto «scioccato e indignato», o la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock che ha definito «insopportabile» l’aggressione della ragazza.

Sprezzante come di consueto la replica del regime sciita: «Invece di fare commenti interventisti e di parte e di esprimere una preoccupazione insincera per le donne e le ragazze iraniane, farebbero meglio a preoccuparsi del personale sanitario statunitense, tedesco e britannico, dei pazienti e di affrontare la loro situazione» ha tuonato il ministro degli Esteri iraniano Nasser Kanani in un post pubblicato su X (ex Twitter) in cui fa riferimento agli scioperi del personale medico attualmente in corso negli stati Uniti, in Germania e in Inghilterra.