Cuno Tarfusser è stato punito con una sanzione blanda, la censura, e priva di effetti per la carriera, che sta per concludersi causa raggiunto limite anagrafico. La “colpa” del sostituto pg di Milano? Aver preteso di “riaprire il processo” sulla strage di Erba nonostante il parere contrario del suo capo, la procuratrice generale del capoluogo lombardo Francesca Nanni. È una vicenda curiosa ma non sorprendente, alla luce delle norme introdotte nel 2006 dal governo Berlusconi e dall’allora guardasigilli Roberto Castelli, norme che concentrarono nelle mani di chi dirige gli uffici inquirenti, cioè di procuratori e pg, un potere superiore rispetto al passato. Ora, noi diamo per scontato che, nel sentenziare la colpevolezza di Tarfusser, la sezione disciplinare del Csm si sia sentita fatalmente vincolata dalla riforma di 18 anni orsono, e che, se l’ordinamento fosse ancora quello antecedente al decreto del 2006, se non fosse stato cioè rivisto il principio della “democraticità” nelle Procure, non ci sarebbero stati i presupposti per condannare il sostituto pg milanese. Però intanto è legittimo chiedersi se il “tribunale delle toghe” non sia stato un po’ eccessivo, nell’ancorare, al mancato rispetto delle gerarchie, non una mera “insubordinazione” di Tarfusser ma addirittura un danno all’immagine della magistratura, legato all’idea negativa che il sostituto pg avrebbe trasferito all’esterno con la propria “perseveranza” sul caso Erba. L’idea negativa sarebbe quella di un magistrato ossessionato dalla ricerca di una verità a suo giudizio più plausibile di quella processuale affermatasi, fino a quel momento, sul caso in questione.

Va detto che questa censura della “corsara” propensione a disvelare una presunta verità, assoluta e nascosta, nelle vicende penali implica un approccio che, se utilizzato con rigore in passato, avrebbe prodotto effetti devastanti. Si pensi a cosa si sarebbe potuto contestare, sulla base di tale paradigma, ai magistrati che hanno condotto l’accusa nel processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia.

Ma il punto vero non è neppure questo. Il punto è che ora ci aspettiamo, dalle correnti Anm che mostrano assoluta prontezza di riflessi sindacalistici in casi come quello delle critiche ai magistrati del caso Toti, una reazione vigorosa in difesa anche di Tarfusser. Alla corrente progressista di Area, per esempio, che ha chiesto al Csm di aprire una pratica a tutela per i pm e i giudici liguri, fa riferimento Piergiorgio Morosini, attuale presidente del Tribunale di Palermo, il quale negli anni scorsi ha messo a fuoco con raro acume – anche in interviste a questo giornale – le conseguenze negative prodotte, in termini di “istigazione al carrierismo”, proprio dalla gerarchizzazione delle Procure.

Ma se invece le correnti restassero silenti di fronte alla sanzione inflitta a Tarfusser, allora si rafforzerebbe l’impressione che oggi la magistratura associata sia incline alla conservazione dell’esistente, persino rispetto a questioni astrattamente criticate come la diminuita democraticità degli uffici inquirenti. E di fronte ai sintomi di un certo conservatorismo, sarebbe inevitabile dubitare anche delle effettive ragioni che sorreggono il compatto “no” delle correnti alla separazione delle carriere. Un rifiuto che rischia di apparire legato più al timore dell’ignoto, all’insuperabile tendenza a difendere lo status quo, anziché a un’analisi reale sulle contraddizioni che tuttora affliggono la magistratura e lo stesso rapporto fra i poteri.