Se i suicidi, con gli ultimi tre avvenuti lo stesso giorno nel carcere di Pavia, di Secondigliano e Teramo, hanno superato ogni record, visto che negli ultimi dieci anni mai si sono registrati 23 detenuti che si tolgono la vita in meno di 70 d giorni, ai quali vanno aggiunti 3 agenti. Ma il sovraffollamento non è da meno. Secondo i dati del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria diffusi dal ministero della Giustizia, alla fine di febbraio, i penitenziari italiani sono vicini alla soglia delle 61.000 presenze e affollamento del 128%.

In tutta Italia, il numero di detenuti presenti alla data del 29 febbraio 2024 risulta pari a 60.924: sono cresciuti di 758 unità da inizio anno (+1,3%). Ricordiamo che i posti disponibili, sulla carta, sarebbero 51.187. Ma a questi vanno sottratti almeno 3000 celle inagibili. Si è ormai da tempo superato di gran lunga il grado di drammatico affollamento del periodo pre-pandemico: in diversi istituti penitenziari del Paese, la situazione è sempre più critica. Ci sono 142 Istituti Penitenziari su 189 che presentano tassi di affollamento effettivi superiori al 100% e, conseguentemente, sono solo due le regioni – il Trentino Alto Adige e la Sardegna – in cui il numero di detenuti è inferiore ai posti effettivamente disponibili.

Quindi, a livello nazionale, il numero di detenuti è ormai vicino alla soglia di 61.000. Il garante della regione Lazio, Anastasìa, nel suo sito online ha ricordato che all’epoca della sentenza Torreggiani e in particolare al 31 dicembre 2012, i detenuti complessivamente presenti in Italia erano 65.701, per un tasso di affollamento del 140%. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con la sentenza Torreggiani, adottata l’8 gennaio 2013 con decisione presa all’unanimità, condannò l’Italia per la violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani (Cedu). Il caso riguardava trattamenti inumani o degradanti subiti dai ricorrenti, sette persone detenute per molti mesi nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza, in celle triple e con meno di quattro metri quadrati a testa a disposizione.

La liberazione anticipata speciale

Che bisogna intervenire, non lo dicono solo le associazioni che si occupano dei diritti umani, ma anche i sindacati della polizia penitenziaria stessa. In campo ci sono due proposte di legge. Una è quella approdata in commissione giustizia. Parliamo della proposta di legge presentata dal deputato di Italia Viva, Roberto Giachetti, insieme all'associazione Nessuno Tocchi Caino, sulla liberazione anticipata (speciale e ordinamentale). L'obiettivo principale di questa iniziativa è affrontare il problema del sovraffollamento carcerario e migliorare le condizioni di vita e lavoro all'interno delle prigioni. Questo risultato, ricordiamolo, è il frutto del sacrificio di molte persone (il deputato Giachetti e Rita Bernardini di Nessuno Tocchi Caino in primis), e centinaia di detenuti che hanno sostenuto il Grande Satyagraha. Pensiamo alla partecipazione attiva di 46 donne (le ormai conosciute “ragazze di Torino” per il loro attivismo) e 64 uomini del carcere “Le Vallette” di Torino, oltre a ben 700 reclusi del carcere di Siracusa.

La proposta di legge mira ad aumentare da 45 a 60 giorni la riduzione di pena per ogni semestre di detenzione ai fini della liberazione anticipata. Non solo. Il secondo articolo prevede di introdurre per i prossimi due anni un ulteriore aumento dei giorni di sconto di pena (da 60 a 75). La modifica proposta all'articolo 54 della legge 354/1975 mira a riconoscere e incentivare la partecipazione dei detenuti all'opera di rieducazione, favorendo così il loro reinserimento sociale. Visto l’urgenza, sarebbe il caso di accelerare l’iter. Sarebbe un primo passo per arginare le criticità e nello stesso tempo favorire il recupero delle persone che hanno sbagliato.

Le case di reinserimento per le pene brevi

C’è anche un’altra proposta di legge presentata l’anno scorso dal deputato Riccardo Magi di Più Europa, sottoscritta anche dal Pd, Avs, AZ e Italia Viva. Recentemente è stato proprio il capo del Dap, Giovanni Russo, a ricordarla durante la sua audizione in commissione giustizia, evidenziando quanto sia importante l’istituzione di case di reinserimento sociale per chi ha meno di un anno di pena da scontare. Quindi è stato il Dap stesso a rilanciarla. Per ora, il ministro della Giustizia Carlo Nordio tace sul punto. L'obiettivo principale della proposta di legge è quello di fornire un ambiente più adatto alla riabilitazione e al reinserimento sociale dei detenuti, riducendo al contempo il sovraffollamento nelle carceri e migliorando l'efficacia del sistema penitenziario nel suo complesso.

Le case territoriali di reinserimento sociale saranno strutture di dimensioni limitate, con una capienza massima compresa tra cinque e quindici persone. Accoglieranno principalmente soggetti che devono scontare una pena detentiva non superiore a dodici mesi, condannati ammessi al regime di semilibertà e detenuti assegnati al lavoro all'esterno. Le case territoriali di reinserimento sociale possono essere istituite attraverso un decreto del ministro della Giustizia, in collaborazione con il ministro delle Infrastrutture, previa intesa con le regioni interessate e i comuni coinvolti. Questo processo deve essere completato entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge.

La gestione di questi istituti potrebbe essere principalmente responsabilità dei comuni competenti, con il sindaco o un delegato come direttore della struttura. Il personale sarà reclutato tramite concorso pubblico e regolato da leggi regionali che definiscono anche le loro condizioni lavorative. Le case territoriali, ovviamente, prevedono programmi di reinserimento sociale finalizzati alla ricollocazione sociale dei detenuti. Questi programmi possono includere lavori di pubblica utilità, progetti con la partecipazione di professionisti come educatori, psicologi e assistenti sociali, oltre a collaborazioni con enti del Terzo Settore. Le spese per l'istituzione e la gestione delle case territoriali saranno coperte dallo Stato, con finanziamenti anticipati ai comuni interessati. La ripartizione dei costi tra lo Stato e i comuni può essere modificata tramite convenzioni tra la regione competente e il ministero della Giustizia. Abbiamo quindi due proposte fattibili, concrete. L’urgenza c’è, e il rischio di un collasso che potrebbe portare a una situazione non solo ai livelli della Torreggiani, ma anche alle rivolte del 2020, è concreto. Tutto ciò si può prevenire attraverso le proposte di legge che sono in campo, compreso il discorso dell’affettività come indicato dalla Consulta. Se attuate, potrebbe essere il primo passo verso una riduzione della recidiva, una maggiore integrazione dei detenuti nella società e carceri non più sovraffollate.