Su Il Dubbio abbiamo parlato del rischio che potessero essere vanificate tutte le misure messe in campo per far fronte all’emergenza Covid in carcere. In maniera particolare l’utilizzo dei cellulari per effettuare i video colloqui visto che le sim sono in scadenza. Il Dubbio ha intervistato il vice capo del Dap Carmelo Cantone, il quale ha assicurato che non solo questo problema non ci sarà, ma che lo scopo ultimo è arrivare a superare tale modalità e giungere alla realizzazione di apposite salette in ogni carcere dove effettuare il colloquio a distanza e quindi tramite la fibra ottica che in molti istituti è già potenziata. Una soluzione che in diversi istituti è stata attuata ed è già realtà.

Dottor Cantone, c’è un serio rischio di fare dei passi indietro, in tema di affettività, per la scadenza delle sim dei cellulari, utilizzate per effettuare le videochiamate tra detenuti e familiari?

Non c’è alcun rischio. È vero che sono in scadenza le sim, però con la direzione delle risorse del Dap siamo già d’intesa con la Tim. Quando scadranno le varie sim, si passerà alla formula che prevede il costo a carico dell’amministrazione e oggettivamente non sarà nemmeno oneroso. Però c’è un altro ragionamento che bisogna fare.

Quale?

Man mano si dovrà abbandonare il discorso delle sim per riuscire ad avere su tutto il territorio nazionale un servizio molto più efficace e fluido, come abbiamo ben descritto tramite una recente circolare del Dap. Ovvero attrezzare delle sale colloquio dedicate appositamente

ai video colloqui dove il detenuto potrà parlare, tramite un dispositivo adeguato, e collegarsi a internet grazie alla fibra ottica.

Ma non tutti gli istituti hanno fibre ottiche adeguate.

Infatti con la Direzione generale per i sistemi informativi, che è competente per i lavori dell’installazione della fibra, molte carceri si sono già adeguate e altre presto lo faranno. In questo momento non possiedo dati aggiornati, ma quest’estate avevamo già una settantina di istituti penitenziari con la fibra in tutti i punti nevralgici in cui serviva, in altri erano in corso d’opera. Non a caso, quest’estate – in linea con la circolare emanata in merito ai colloqui a distanza - abbiamo chiesto, per chi non l’avesse fatto, di proseguire con i lavori di adeguamento e provvedere all’individuazione di locali idonei.

Quindi esistono penitenziari che si sono già adeguati anche con i locali?

Certo. Ci sono diversi istituti già operativi. Le potrei citare Lecce, Rebibbia Nuovo Complesso, il carcere di Velletri. L’obiettivo è quello di mettere il detenuto nella condizione di poter effettuare fino a un’ora di colloquio a distanza, perché è equiparato a quello di presenza, in una sala adibita dove possono starci anche più persone. Al carcere di Velletri questa cosa è già una realtà. Hanno recuperato degli spazi, micro- salette dove permettere i colloqui di questo tipo.

Quindi l’obiettivo è quello di portare a regime, in tutte le carceri, questa modalità di video colloquio con tanto di salette adibite?

Certo. Noi abbiamo gestito una emergenza nel 2020 e la pandemia ha creato le condizioni che hanno accelerato i tempi per i colloqui online, garantendo e quindi il mantenimento dell’affettività. Ovviamente nel limite del possibile visto che la normativa pone ancora dei limiti. Partiamo da un sistema che, dal 1975 fino ad oggi, ha inteso focalizzare per il detenuto l’autorizzazione a una telefonata ogni tot di tempo. Però ora c’è la necessità, così come individuata dalla commissione Ruotolo di cui facevo parte, di invertire il ragionamento e si è trovato il sistema: un detenuto può telefonare tutti i giorni, con un range di tempo più allargato. Ora è a discrezionalità del direttore, ma mi auspico che la politica ragionerà su questo e modificherà in meglio il regolamento penitenziario. Però ci tengo a dire una cosa rispetto all’esperienza sui video colloqui.

Mi dica.

Bisogna sottolineare ancora oggi che se in quel momento tragico della pandemia c’è stata una bella accelerazione sui colloqui a distanza, è grazie ai tanti operatori che sui territori hanno lavorato molto per permettere ciò. Esperti informatici, poliziotti penitenziari che avevano una dimestichezza con questa materia, direttori che sono stati attivi. Penso anche all’amministratore delegato della Tim che ci ha dato un grande aiuto in quei momenti difficili. Lo ribadisco. Tutto quello che c’è stato di buono, e continua a esserlo, è espressione dei territori. Bisogna farli lavorare, solo così potrà migliorare il carcere. Per questo mi auguro che, in futuro, potranno essere scritte delle belle pagine.