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«Vai subito da Michael, perché mio marito lo aveva sentito gridare come un maiale!». È la moglie di in detenuto che, appena ha visto la madre di Michael, un ragazzo di 19 anni, le ha detto di entrare subito a parlargli. Sì, perché non essendosi presentato al tribunale di sorveglianza (era arrivato un fax dicendo che era molto agitato), la madre subito si è recata in carcere per vedere come stava. Racconta a Il Dubbio che gli agenti penitenziari non volevano farglielo incontrare: le hanno detto che aveva avuto dei problemi e non riusciva a scendere alla saletta dei colloqui. Lei allora ha fatto il colloquio con l'altro figlio, anche lui detenuto, e nell’incontrare la madre è scoppiato a piangere, dicendole: «Lo hanno picchiato, mi hanno riferito che l’hanno gonfiato di botte». A quel punto la madre ha insistito nel voler vedere Michael e ci è riuscita. «L’ho visto con gli occhi neri, naso fratturato, tutto gonfio e pieno di lividi!». Il figlio le ha detto che non ce la fa più, che sente le voci, che vede le ossa dappertutto. Michael infatti ha dei problemi psichiatrici, una invalidità civile riconosciuta al 100 per cento. Una storia complicata alle spalle. Michael Sico Gasmi, da minorenne, aveva fatto parte di una cosiddetta baby gang, ma si scoprì che le sue condotte erano influenzate da un problema psichiatrico, confermato anche dal Centro di Igiene Mentale per Minori. Mentre era ai domiciliari con il braccialetto elettronico è sopraggiunta una condanna per aver compiuto, da maggiorenne, una rapina (più che altro, osserva il suo difensore che conosce bene le carte del processo, considerata tale dal codice più che per la reale pericolosità del fatto). A questa si è aggiunto anche il cumulo di pena per i reati commessi da minorenne. Quindi, divenuto definitivo, Michael è entrato nel carcere di Santa Maria Maggiore, a Venezia, per scontare una pena superiore ai 4 anni. È chiaramente incompatibile con il carcere, ma non è stato dichiarato incapace di intendere e volere dal punto di vista penale e quindi non gli è rimasto che rimanere recluso, senza misure alternative come i centri specializzati per trattare la sua patologia. Durante la carcerazione Michael era agitato, era diventato ingestibile, riferisce il suo difensore, a Il Dubbio, e potenzialmente pericoloso per sé e nei confronti di altri detenuti. A quel punto lo hanno collocato in un’altra cella, da solo, racconta l’avvocata Stefania Pattarello del Foro di Venezia, dove hanno dovuto togliergli anche le lenzuola e lasciargli quelle di carta, perché aveva già tentato di soffocarsi. È stato raccontato all’avvocata che il giovane avrebbe smontato tutta la branda e con un pezzo di questa avrebbe cominciato a battere contro il blindo, urlando che si sentiva soffocare, di non farcela più. A quel punto sono intervenuti gli agenti penitenziari per immobilizzarlo. Non sappiamo cosa sia accaduto. È stato picchiato, oppure i lividi sono stati causati dal suo stato di agitazione? Questo sarà la magistratura ad accertarlo. L’avvocata Stefania Pattarello è andata ieri al carcere per capire l’accaduto. Non ha potuto vedere Michael, perché nel frattempo è stato trasferito al carcere di Verona dove c’è l’unico “reparto di osservazione psichiatrica” nella regione veneta, specializzato per svolgere l’osservazione delle malattie mentali dei detenuti e valutarne la compatibilità con il carcere. «Questa è l’unica buona notizia – spiega a Il Dubbio l’avvocata -, perché lì potranno finalmente fare una diagnosi per accertare se è un infermo mentale anche dal punto di vista penale». Pattarello spiega che purtroppo, dal punto di vista penale, non è considerato incompatibile e quindi il carcere stesso si è trovato a gestire una situazione senza strumenti adeguati. «La stessa direttrice – sottolinea l’avvocata – si dice dispiaciuta per il fatto che un ragazzo di 19 anni si trovasse in questa situazione, nonostante i solleciti che hanno fatto alle autorità preposte». L’avvocata aggiunge che l’unica certezza è che ci sia stata una omissione, ovvero qualcuno doveva intervenire per disporre una misura diversa dalla detenzione. Per quanto riguarda se ci sia stato un pestaggio, questo non è possibile, per ora, accertarlo. Tutti gli agenti e operatori testimoniano che non è stato picchiato, ma solo immobilizzato. La madre però, che ha potuto veder il figlio, dice che non è possibile che si sia procurato da solo tutti quei lividi. L’unica certezza però è che una responsabilità c’è, ovvero che non è stata fatta una diagnosi che accertasse la sua infermità mentale. Ora è nel “reparto di osservazione psichiatrica” del carcere di Verona, dove finalmente i sanitari potranno verificare la sua situazione medica. Ma rimane aperta la lacuna dal punto di vista legislativo. Ad oggi, la malattia fisica non è equiparata a quella psichica. Ciò determina il fatto che il carcere, di fatto, è considerato compatibile nei confronti di chi, compatibile non lo è affatto. Soprattutto un giovanissimo di 19 anni che dovrebbe essere curato, invece che segregato in una struttura non adeguata dove gli agenti penitenziari non possono essere in grado di gestirlo. Da qui, le degenerazioni che possono sfociare in situazioni drammatiche. Il caso è stato segnalato al garante nazionale dei detenuti Mauro Palma e anche a Rita Bernardini del Partito Radicale che prontamente si è attivata scrivendo al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.