«Ogni divieto di consumo genera trasgressione e commercio delle sostanze vietate». Il procuratore generale di Ancona, Vincenzo Macrì, è convinto che il proibizionismo sulle droghe leggere produca più danni che benefici. Ne parla con la consapevolezza di chi ha dedicato gran parte della sua esistenza al contrasto della criminalità organizzata, alla Dda di Reggio Calabria come in Direzione nazionale antimafia.Procuratore, due giorni fa alla Camera è approdato il ddl per la legalizzazione della cannabis. Tra le novità proposte nel testo spiccano la possibilità di coltivare marijuana per uso personale e di venderla in un regime di monopolio statale. Cosa ne pensa?È necessario che anche nel nostro Paese, come già avviene in molte altre parti del mondo (Stati Uniti, Canada, America latina, altri Paesi europei) si discuta, in maniera approfondita e serena, il tema della legalizzazione delle droghe leggere. Il disegno di legge rappresenta secondo me un lodevole tentativo di riportare il dibattito nella sede politica del Parlamento. Tra l'altro, la legalizzazione consentirebbe di mettere in commercio sostanze regolamentate per percentuale di tossicità, mentre il proibizionismo ne determina sempre l'aumento. Non a caso, nella maggior parte dei casi, i decessi per droga sono dovuti ad eccessi di tossicità (overdose). Nell'epoca del proibizionismo, la percentuale di alcool nelle bevande era assai più alta di quella oggi imposta (essendo stabilito un massimo di 43 gradi) per motivi di mercato. E così avviene per la percentuale di nicotina nelle sigarette.Una volta ha detto che il proibizionismo è «crimonogeno». Può spiegarsi meglio?La definizione non è certo una mia, ma è acquisizione comune della comunità scientifica e penalistica internazionale. Ogni divieto di consumo genera trasgressione e commercio delle sostanze vietate. Il divieto del consumo di droga ha generato il più grande mercato di sostanze illecite nella storia dell'umanità e del più redditizio settore di produzione e trasformazione agricola. I profitti sono enormi, dell'ordine di centinaia di miliardi di dollari all'anno su scala mondiale, di decine di miliardi di euro su scala nazionale. I profitti generano ulteriori reati, primo tra tutti il riciclaggio di questa enorme montagna di profitti. Una parte consistente dell'economia nazionale (e di quella mondiale) è oggi costituita dall'economia del riciclaggio e ogni giorno milioni di euro si riversano sull'economia legale, alterando la concorrenza e le regole dei mercati finanziari nazionali e internazionali. Gli effetti criminogeni collaterali sono numerosi e vanno da furti, scippi, rapine, violenze da parte dei tossicodipendenti, corruzione di pubblici funzionari, omicidi per la conquista dei mercati più redditizi (gli esempi delle guerre di Scampia e di Ostia sono illuminanti). Ne deriva insicurezza collettiva, sovraffollamento delle carceri, sovraccarico di procure e tribunali.Crede davvero che legalizzando le droghe leggere si mettano in difficoltà le mafie? E allora perché non estendere il ragionamento anche alle droghe pesanti come l'eroina e la cocaina?Ha detto bene. Si creerebbero difficoltà, non certo la loro sconfitta. Sarebbe però un segnale importante e in questo non posso che condividere quanto detto dal Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Altri e assai maggiori sarebbero i danni provocati alle mafie da misure riguardanti le droghe pesanti, ma mi rendo conto che non è proponibile un ampliamento delle misure di legalizzazione sino a questo punto. È necessario però che tutti prendano atto che prima o poi bisognerà fare i conti con mafie (le nostre soprattutto), sempre più ricche, potenti, che occupano spazi economici e politici sempre più vasti, tanto da condizionare pesantemente le nostre democrazie. Basti pensare quali effetti ha prodotto il solo passaggio della cocaina dalla Colombia agli Stati Uniti attraverso il Messico per comprendere gli effetti devastanti prodotti da realtà del genere. Analogo discorso potrebbe farsi per la Bolivia e per alcuni stati africani. In Messico i cartelli in lotta tra di loro e, insieme, contro lo stato e la società civile hanno prodotto decine di migliaia di omicidi in pochi anni, ai danni di civili, poliziotti, giornalisti, politici, magistrati, anche mediante esecuzioni di massa, la cui ferocia fa impallidire persino quella usata dall'Isis. E, a proposito del terrorismo islamico, non è un caso che una delle fonti di finanziamento di tale organizzazione sia anche il traffico della droga nell'area sub sahariana, con destinazioni varie, tra le quali quella europea.Eppure il suo collega Nicola Gratteri, procuratore di Catanzaro, ha detto che «uno stato democratico non può permettersi il lusso di depenalizzare qualcosa che fa male». Una visione opposta alla sua...Vi sono molte sostanze che "fanno male", eppure vengono vendute liberamente, come alcool, tabacco. Il numero delle vittime provocate annualmente dall'abuso di tali sostanze supera quello dei morti per droga. Aggiungo ancora due considerazioni: laddove l'uso di droga è stato liberalizzato sono diminuiti i consumi e così è avvenuto negli Usa dopo la fine del proibizionismo delle bevande alcoliche. Niente quindi lascia supporre che in Italia possa avvenire cosa diversa, anzi il netto calo dell'offerta illecita scoraggerà molti utenti, soprattutto i più giovani, dal ricorrere a tali sostanze. In economia è noto che la finalità di deprimere i consumi di sostanze nocive può essere raggiunto attraverso l'imposizione fiscale (vedi le accise su fumo e alcool) o la regolamentazione amministrativa di produzione e commercio, o ancora attraverso sanzioni amministrative (compreso il sequestro). Solo in casi estremi si dovrebbe ricorrere alla sanzione penale. Lei ha citato il dott. Gratteri, il quale, da esperto del settore, ha recentemente dichiarato che la percentuale di droga sequestrata rispetto a quella commerciata è di circa il 10 per cento. Se così è, aggiungo, il proibizionismo dimostra tutti i suoi limiti, nel mondo come in Italia, nonostante gli indubbi e ripetuti risultati positivi conseguiti da investigatori e inquirenti nell'azione di contrasto. È largamente diffusa da parte di istituti di ricerca ed esponenti politici internazionali, la convinzione del sostanziale fallimento del proibizionismo, proprio per la verificata impossibilità di raggiungere una drastica riduzione dei consumi.Torniamo al ddl che vorrebbe legalizzare la cannabis. Appena arrivato in Aula ha subito scatenato numerose polemiche. Soprattutto il Nuovo centrodestra sembra pronto ad alzare le barricate. Risultato: l'esame del testo è già slittato a settembre. Crede che la legge si arenerà?Temo di sì. Il proibizionismo, nella sua versione più radicale, produce rendite di tipo ideologico, politico, istituzionale, economico e persino religioso. Negli Stati Uniti gli economisti (Thornton) parlano di economia della proibizione, offrendone documentazione storica. Non è facile stabilire un dibattito sereno, che evitando tabù e pregiudizi, sappia mettere a confronto costi e benefici delle diverse opzioni, per poi adottare soluzioni condivise e razionali. In tutto il mondo il dibattito è aperto e non vedo il motivo per il quale in Italia vi sia un rifiuto pregiudiziale ad ogni forma di confronto.