PHOTO
La prossima settimana saranno trascorsi due anni esatti dallo scoppio dello scandalo che ha travolto la magistratura italiana. Il 29 maggio, per la precisione, alcuni quotidiani diedero il via alla pubblicazione delle intercettazioni effettuate con il trojan inserito nel cellulare dell’ex togato Csm, ed ex potente capo della Anm, Luca Palamara, all’epoca sotto indagine a Perugia per corruzione. In particolare vennero pubblicati i colloqui avvenuti durante un dopocena presso l’Hotel Champagne di Roma la sera dell’8 maggio 2019 fra Palamara, alcuni consiglieri togati del Csm, e i parlamentari Luca Lotti e Cosimo Ferri. Le reazioni a quegli scambi che avevano per oggetto le nomine dei capi di alcune Procure del Paese, a iniziare da Roma, furono durissime. Tutti i consiglieri coinvolti si dimisero, e cambiarono così gli equilibri all’interno del Consiglio superiore. Anche il presidente Anm dell’epoca venne costretto alle dimissioni. Il Capo dello Stato usò toni molto duri per descrive l’accaduto, parlando di “modestia etica”. La pubblicazione delle chat che Palamara intratteneva con numerosissimi colleghi che gli chiedevano nomine e incarichi, avvenuto dopo alcuni mesi, aprì poi altri scenari, mettendo plasticamente in luce la deriva correntizia e i condizionamenti dei gruppi associativi sulle scelte del Csm. A distanza di due anni, però, non è che molto sia cambiato, soprattutto per quanto riguarda l’accertamento delle responsabilità. Dopo il doppio “turboprocesso” a Palamara, sia al Csm che davanti ai probiviri dell’Anm, la voglia di rinnovamento, sanzionando ad esempio le condotte non consone allo status del magistrato, pare essersi fermata. Anzi, nel caso dell’Anm non è iniziata proprio. L’Associazione, presieduta dal giudice di Cassazione Giuseppe Santalucia, dopo aver avuto da Perugia le chat di Palamara, aveva dichiarato che si sarebbe proceduto per verificare le eventuali violazioni del codice deontologico. Le dimissioni dei magistrati coinvolti hanno però bloccato sul nascere ogni possibile iniziativa. Se un magistrato si cancella dall’Anm viene meno, infatti, la possibilità di sanzionarlo, fanno sapere da più parti. Tale “modus operandi” ha suscitato questa settimana la piccata reazione dei togati di Articolo 101, il gruppo nato proprio per contrastare la deriva correntizia. “L'Anm non è un tram, su cui si sale per accumulare punti per Csm, posti dirigenziali e altre posizioni gradite, e dal quale si scende in corsa quando arriva il controllore”, ha scritto Maria Angioni, un’esponente di Articolo 101 nell’Anm. «Male ha fatto la Giunta dell’Anm ad accogliere a rotta di collo le dimissioni di chi fugge dal disciplinare, senza rispettare lo statuto, deliberatamente omettendo di comunicare tali iniziative al Comitato direttivo centrale perché potesse decidere su esse, esercitando le sue legittime prerogative», ha aggiunto la dottoressa Angioni. E sul fronte disciplinare al Csm, esclusa la punibilità per i magistrati che si autopromuovevano con Palamara per una nomina, ed eccettuati gli ex consiglieri coinvolti nell’incontro all’hotel Champagne, sono poco più di una decina le toghe attualmente sotto processo a Palazzo dei Marescialli. Il sospetto è che si voglia chiudere il prima possibile una pagina non proprio edificante per la magistratura, dopo aver trovato il capro espiatorio perfetto: Luca Palamara. Per la cronaca, infine, è stata archiviata ieri la pratica aperta da tempo dalla prima commissione del Csm per valutare la sussistenza dei presupposti per un trasferimento d'ufficio del sostituto procuratore generale della Cassazione Mario Fresa, a seguito di una vicenda di maltrattamenti denunciati dalla moglie, che poi aveva ritirato la querela. La delibera di archiviazione è passata con un solo voto di scarto: 9 sì, 8 no e 8 astensioni. La Procura di Roma aveva archiviato il procedimento penale per la remissione della querela ma anche perché le lesioni non sarebbero derivanti da una “condotta intenzionale". Il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi ha dato atto "delle qualità professionali eccellenti" di Fresa, ricordando che il magistrato era stato sospeso e assegnato a settori diversi. Fresa, infatti, rappresentava spesso l’accusa davanti alla Sezione disciplinare del Csm.