di Carlo Nordio*

La cosa che più mi sta a cuore è aver sentito che io avrei fatto un attacco alla magistratura. Io mi rendo conto che le riforme che io propongo, e che di cui scrivo da 25 anni, possono essere in contrasto con le idee di molti magistrati, soprattutto di pubblici ministeri. È normale. Senofane diceva che i traci ritenevano gli dei biondi e con gli occhi azzurri, e che gli africani dipingevano gli dei neri e ricciuti. E se un triangolo potesse pensare, diceva Senofane, vedrebbe dio fatto a triangolo. Ognuno vede la realtà secondo la lente deformata e deformante dei suoi pregiudizi, e talvolta dei suoi interessi. La visione che hanno gli avvocati non è quella dei pubblici ministeri. La visione che hanno le guardie penitenziarie non è quella per esempio della polizia giudiziaria, la visione che hanno le vittime non è quella dei detenuti. Il compito di un ministro, di un governo, o se vogliamo di un saggio, è quello di cercare di conciliare queste visioni, tenendo però conto che Senofane aveva sicuramente ragione.

INTERCETTAZIONI SEGRETE? IO CI SONO RIUSCITO...

Le intercettazioni, allora. Non ho mai detto, e non dirò mai, che le intercettazioni debbono essere eliminate. La mia inchiesta sul Mose è stata ritenuta un modello di inchiesta. In realtà non l’ho fatta io, l’ho coordinata: ha concluso la mia carriera. Ha avuto migliaia di intercettazioni. Utili, indispensabili. Però erano strumento di ricerca della prova, non mezzi di prova. Sentivamo, attraverso le intercettazioni, che venivano scambiate mazzette. Abbiamo impiegato personale in un’attività di osservazione, pedinamento, controllo. Abbiamo visto lo scambio delle mazzette, lo abbiamo fotografato, siamo andati anche a casa del generale della Guardia di finanza che aveva sepolto in giardino i 400mila euro della mazzetta, lo abbiamo preso, lo abbiamo anche incarcerato: alla fine è stato condannato a una congrua pena. Di queste intercettazioni, che sono parecchie decine di migliaia, non è uscita una parola sui giornali. Non c’è stata delegittimazione per alcun cittadino di Venezia, del Veneto o dell’Italia. E potete immaginare quanto e cosa noi sapessimo, dei cittadini, dopo centinaia, anzi migliaia, decine di migliaia di ore di intercettazioni. Se si vuole si può. Se non avviene, vuol dire che c’è una colpa in vigilando. È un attacco alla magistratura? No, perché la attuale disciplina delle intercettazioni giudiziarie rende possibile il trapasso di mano in mano. Ma è questo il problema: che queste intercettazioni, la cui diffusione da sempre viola le norme del codice di procedura penale, è malgovernata da alcuni, e sottolineo da alcuni, magistrati. Perché è malgovernata? Perché chi conosca, e io mi picco di conoscerla, la disciplina delle intercettazioni, sa che il cosiddetto brogliaccio della polizia giudiziaria dovrebbe non solo restare riservato, ma dovrebbe essere trascritto in forma di perizia, davanti al gip, nelle garanzie del contraddittorio, con l’assistenza dei difensori (...). Ripeto però, in conclusione, che per quanto riguarda le intercettazioni, mai troveranno scritto che dico che vanno eliminate. Dico che vanno regolamentate, e che bisogna impedire in qualsiasi modo che chi non è direttamente interessato nelle intercettazioni possa essere delegittimato nel suo onore e nella sua riservatezza.

LA GIURISDIZIONE? TAVOLO A TRE: C’È PURE L’AVVOCATO

(...) Ultima cosa, sulla separazione delle carriere e sulla cosiddetta cultura della giurisdizione. L’espressione “cultura della giurisdizione è metafisica dell’intelletto. Preferirei dire un’astrazione speculativa, sempre citando Hegel. Significa tutto e non significa nulla. Perché? Perché o noi intendiamo la giurisdizione come ius dicere, e allora è la massima attività del giudizio, riguarda soltanto il giudizio e quindi soltanto il giudice, oppure la consideriamo come attività dialettica alla ricerca della verità processuale, quale secondo me è: e allora è un tavolo a tre gambe, che non riguarda soltanto il giudice e il pubblico ministero, ma riguarda anche l’avvocato. E aggiungo che anche quando noi parliamo di separazione delle carriere nel sistema anglosassone, io stesso uso una sorta di formula impropria. Perché nell’ordinamento anglosassone, non solo le carriere non sono separate, ma sono addirittura interscambiabili. Il giudice ieri era pm, il pm domani sarà avvocato, il giudice l’altro ieri era avvocato e poi va a fare il pm. Il giudice Robert Jackson, che era public prosecutor del processo di Norimberga, era stato justice della Corte suprema, giudice, poi era andato a fare il pm, poi l’avvocato, poi è tornato alla Corte suprema. Allora, se voi mi dite che siamo tutti d’accordo, che la giurisdizione è un tavolo a tre gambe in cui vi è pari dignità - con ognuno che ovviamente svolge il suo ruolo - tra avvocatura, magistratura requirente e magistratura giudicante, secondo il rito anglosassone, mi trovate perfettamente d’accordo. Aggiungo però una cosa sul procedimento accusatorio, che noi abbiamo preso da una medaglia d’oro della Resistenza - non ce l’ha dato Mussolini, questo processo: nel momento in cui lo abbiamo adottato, lo dobbiamo adottare fino in fondo, altrimenti, ripeto, abbiamo una Ferrari con il motore delle 500 (...). Questo sistema o lo prendiamo o non lo prendiamo. Una volta che noi lo abbiamo introdotto, dobbiamo portarlo fino in fondo, con tutto quello che ne consegue. Altrimenti torniamo al codice Rocco, con il quale mi sono laureato e che io ho amministrato per 11 ani, che era un ottimo codice: coerente, utile. È quello che ha consentito tra l’altro il processo a Giovanni Falcone contro la mafia. Un processo che con il nuovo rito probabilmente non si sarebbe potuto fare. E lo dimostrano le circostanze, perché qualcun altro è fallito e qualcun altro va avanti a stento, nonostante la bravura di certi colleghi. Rispondo, e ho finito, sulla ristrutturazione dell’edilizia carceraria. Andate a lezione dal collega Gratteri: è riuscito a fare il miracolo di un Palazzo di Giustizia trasformato in quattro anni da carcere o da vecchio convento in un Palazzo di giustizia modello che noi abbiamo inaugurato un mese fa. Si può fare, se si vuole. (*ministro della Giustizia)