Valeria Valente, senatrice dem, spiega che «il Pd deve tornare a fare il Pd» e che «il Paese ha bisogno di un Pd pienamente in campo il prima possibile».

Senatrice Valente, Nicola Zingaretti si dimette e parte così la corsa alle Regionali del Lazio, che si terranno pochi mesi prima di quelle in Lombardia. Ritiene vitale per il Pd l’alleanza con il Movimento 5 Stelle, nonostante gli aut aut di Giuseppe Conte, o pensa che dovrebbe esplorare altre strade, in primis quella di un accordo con il terzo polo?

Non entro nel merito delle scelte né del Lazio né della Lombardia. Il Pd è una grande comunità e ha una classe dirigente di assoluto livello, saranno i dirigenti locali a fare le migliori valutazioni per i territori. Sul tema delle alleanze mi permetto di fare solo una considerazione di carattere generale. Se l'intento comune è davvero quello di battere queste destre, a partire da una visione alternativa, è necessario per tutti certo ricercare punti di convergenza, ma anche sedersi sempre a un tavolo senza veti, né aut aut, né fughe in avanti. Insomma, con rispetto.

Ieri Luigi Zanda ha consigliato al Pd di sostenere Moratti, spiegando che il suo passato nel centrodestra non è una buona giustificazione per non appoggiarla. Condivide l’analisi?

Stimo Zanda e leggo sempre con interesse le sue interviste. Tuttavia il passato di un candidato non è irrilevante così come, in questo caso specifico, non possono essere irrilevanti le ragioni e le modalità che hanno spinto Moratti a chiudere con la sua precedente esperienza politica e a proporsi comunque, persino cambiando così repentinamente schieramento.

Non crede che quella che stiamo vivendo sia una fase in cui per il Pd possa essere paradossalmente semplice compiere delle scelte di campo (termovalorizzatore sì/ no, armi a Kiev sì/ no, rigassificatore sì/ no) che differenziano in maniera chiara il Movimento 5 Stelle dal terzo polo?

Intanto un po' di chiarezza. Il Pd su questi tre temi oggi all'ordine del giorno ha una posizione chiara: sì, sì e ancora sì, poi certo in un determinato contesto e a determinate condizioni. Il tema è che la complessità delle vicende non deve essere assunta a scapito della chiarezza e della nettezza del messaggio, altrimenti il rischio è di non essere percepiti e compresi. Detto questo, la nostra preoccupazione non può essere quella di differenziarci dal M5S o dal terzo polo.

Pensa che alla leadership del partito stia mancando un po’ di coraggio?

Il Pd deve fare il Pd. Oggi il nostro è un ruolo di opposizione, un ruolo prezioso che deve innanzitutto esprimere la nostra idea di Paese. Dobbiamo ritrovare il coraggio della radicalità del nostro pensiero, il congresso deve servire anche a questo, oltre che per rinnovare la leadership.

Il segretario Enrico Letta ha auspicato un’accelerazione sui tempi del Congresso, condivisa, ad esempio, anche da Stefano Bonaccini. Condivide anche lei quest’idea o pensa che un partito grande, strutturato e radicato come il Pd debba darsi il giusto tempo per compiere certe scelte per non rischiare di bruciarle pochi mesi dopo?

Il Paese ha bisogno di un Pd pienamente in campo il prima possibile. Siamo il primo partito di opposizione, il secondo nel Paese. Abbiamo il compito di incalzare questo governo rispetto a scelte utili per l'Italia e intervenire quando necessario per arginare decisioni sbagliate o pericolose.

Cosa serve insomma al Pd per non rischiare di essere fagocitato dal M5S, da un lato, e dal terzo polo, dall’altro?

È vero, siamo incalzati da un lato dal M5S e dall'altro dal terzo polo, che troppo spesso appaiono interessati più ad attaccare il Pd che a contrastare l’attuale maggioranza di estrema destra. Ma questo non deve distrarci, abbiamo una storia, una classe dirigente di assoluto livello, governiamo città e territori. Il Pd deve solo fare il Pd: difendere le ragioni del lavoro in tutte le sue forme come dignità e libertà e quelle del rispetto e dell'estensione dei diritti e delle opportunità per tutte e tutti. Non possiamo accontentarci di rendere i poveri un po' meno poveri, dobbiamo invece avere almeno l’ambizione di provare a dare a tutti e tutte una reale possibilità di riscatto e di realizzazione di sé.

Le prime settimane del governo Meloni sono scandite da provvedimenti di carattere securitario, come il decreto rave, e misure di contrasto alle Ong, come abbiamo visto in questo giorni: come dovrebbe porsi il Pd per contrastare la politica del governo?

Intanto sicurezza e immigrazione non sono un binomio. L'immigrazione non è un’emergenza nel nostro Paese per numeri e dimensioni. Ciò detto, è un fenomeno che va governato: Europa e integrazione sono le due strade maestre. Oggi non vedere che le persone migranti sono una risorsa di cui come Paese non possiamo fare a meno significa semplicemente essere fuori dalla realtà e dalla vita reale di persone, famiglie e imprese. Bloccare donne e bambini sulle navi e poi selezionare in pochi minuti chi restava e chi scendeva, dividendo famiglie e affetti è stata una pagina vergognosa per noi e per la nostra civiltà. Anche se poi per fortuna tutto è andato come doveva, è stata come per il decreto sui rave una scelta propagandistica e identitaria. La destra sta usando questi temi e questo approccio perché vuole rafforzare la luna di miele con il proprio elettorato, tipica delle prime settimane di governo. Detto questo, siamo all'inizio. La strada è lunga'.