UNO. Roma, 1976. Di mattina di fronte a un laboratorio medico in cui si fanno le analisi necessarie per abortire c’è una giovanissima donna, già madre di una bimba. È inquieta, scontenta. Prima di arrivare lì, familiari e persone a cui vuol bene, l’hanno “quasi convinta che non avesse senso mettere al mondo un’altra bambina in quella situazione”.

La “situazione” è quella di un marito e padre con cui la donna non va d’accordo, con cui forse non c’è mai andata, e che ha già le valigie pronte per andar via da qualche altra parte, come poi farà. La legge che consente di abortire non c’è ancora. Arriverà quasi due anni dopo nel maggio 1978. Ma questo non è un problema.

L’aborto, del resto, si è sempre praticato. Con le mammane, talvolta rimettendoci la vita, o, per chi ha/ aveva soldi e mezzi, con fior di professionisti molti dei quali una volta approvata la legge che lo consente e disciplina, si scopriranno ( in gran parte) rigorosi obiettori di coscienza. Il che non gli impedirà né gl’impedisce di continuare a praticarlo in cliniche eleganti e sofisticate. E’ questo il quadro quasi sempre rimosso quando ci si schiera a favore o contro l’aborto e si consegna chi non ha mezzi alle mammane. Al di là dei rispettabilissimi problemi di coscienza, e del rispetto delle opinioni di tutti.

Ma torniamo alla nostra signora. Deve fare le analisi propedeutiche all’aborto ed è arrivata all’ingresso del laboratorio in cui vengono eseguite. E’ rigorosamente digiuna come previsto. Inquietudine e incertezza la stanno divorando. Perché ama ancora un uomo che non la merita? Perché vuol dare una compagnia alla bimba che ha rendendola più forte e sicura? Fatto è che la signora, peraltro regolarmente coniugata, racconta la Meloni nel suo libro, invece d’infilare l’ingresso del laboratorio d’analisi si guarda intorno, scorge un bar e lì si fionda per fare colazione. Un gesto che significa rifiuto delle analisi e dell’aborto per caricarsi e scegliere la responsabilità, e il piacere, di mettere al mondo un figlio/ a.

Così è venuta al mondo Giorgia Meloni, classe 1977 mese di gennaio. Racconta la storia di sua madre, e indirettamente di suo padre, dei suoi nonni, di sua sorella fin dalla prima pagina delle 327 di “Io sono Giorgia”. Un libro autobiografico dove però ogni rigo, pagina e capitolo sono organicamene connessi al progetto politico e culturale che l’ha portata alla direzione del paese (lei scriverebbe Nazione, ovviamente maiuscolo). Chissà quante volte nella sua vita all’attuale Presidente/ presidentessa del Consiglio è venuto in mente che se quella mattina sua madre non avesse cambiato idea all’improvviso facendo una colazione al bar invece delle analisi per abortire, lei non sarebbe mai nata. E chissà se l’urlo “Io sono Giorgia” non è in realtà che il piacere e la soddisfazione per avercela fatta a venire al mondo proprio quado le stavano per chiudere la porta in faccia. Non è certo per caso che nel libro si esprime contro l’aborto, anche se non rimette mai in discussione quella legge.

DUE. Farebbero bene politica e cultura italiane a leggere con attenzione “Io sono Giorgia”. Nel libro, controluce, è possibile leggere il perché del successo politico e culturale di FdI e della sua leader e anche il perché della diversità del successo della Meloni rispetto alle [/ BASE] fiammate rapidamente spentesi di Letta, Renzi, Salvini e Conte. Certo, dalle pagine di “Io sono Giorgia” emergono anche pesanti sgrammaticature.

Difficilmente la Meloni presidente del Consiglio ripeterebbe i giudizi su Francia e Germania contenuti nel libro. Paesi, anzi Nazioni, che nel suo racconto sembrano soprattutto impegnate a contenere e bloccare gli interessi italiani con una sfilza di furbizie funzionali prima di tutto alla difesa dei propri interessi di bottega.

Una ricostruzione, quella di Io sono Giorgia, in evidente conflitto con la spinta verso il progetto dell’Unità europea che in realtà viene schiacciata dalla Meloni in un quadro in cui gli interessi nazionali e patriottici sono e restano, come sostengono i governi ungheresi e polacchi, prevalenti rispetto a tutto il resto. La Meloni è netta: “La questione per noi è molto chiara: non faccia Bruxelles quello che può meglio essere fatto da Roma, Varsavia, Budapest o Madrid”. E avverte: “La mia, insomma, è l’Europa delle Patrie, ma patria anch’essa sognata dal generale De Gaulle e ‘ l’Europa che va a destra o non si fa’, come amava ripetere Giorgio Almirante”. E altrettanto sgrammaticate paiono le comprensioni e le aperture culturali e politiche al mondo No- Vax scritte con una evidente attenzione al voto che, anche nel 1921 quando uscì il libro, si sapeva che prima o poi si sarebbero dovute svolgere.

Sgrammaticature, comunque, che sembrano soprattutto dovute al fatto che quando è stato pubblicato “Io sono Giorgia” ( maggio 2021) la Meloni era ancora a caccia di voti, consenso e spazio politico (Salvini ancora durante le presidenziali non le rispondeva neanche al telefono perché i voti di FdI in parlamento erano irrilevanti) mentre ora guida il partito di maggioranza relativa in Parlamento ed è il/ la Presidente del Consiglio.

Né il suo successo politico viene sminuito, se un’analisi più attenta svela facilmente il fenomeno, nel nostro paese, di un drastico impoverimento del consenso di tutti e nessuno escluso i partiti politici italiani, quelli che hanno vinto e quelli che sono stati sconfitti ( Pagnoncelli sul Corsera spiega che il ha vinto col 43,8 per cento dei voti espressi: il più basso consenso nella storia della Repubblica rispetto ai votanti ed ha sconfitto la più fragile e frantumata opposizione mai registrata). Il voto reale dell’intero Cdx, se si tiene conto delle massicce astensioni e delle schede bianche, è infatti del 26,6. Mai, nei settant’anni che abbiamo alle spalle, la Repubblica era stata governata da una minoranza come quella attuale. Segno della crisi profonda, al di là di tutte le differenze politiche, dell’intero sistema politico- elettorale su cui si regge il paese.

Ma sgrammaticature a parte “Io sono Giorgia” racconta e svela, anche e soprattutto, le ragioni di un successo. La Meloni ha vinto le elezioni, partendo da un dato elettorale irrisorio, perché ha operato con attenzione un recupero pieno e solitario della tradizione della politica italiana precedente al Berlusconismo, centrata sui partiti e la militanza politica.

Giorgia non è il risultato dell’infuriare sui social di parole d’ordine escogitate e ri- rovesciate sui social ( e ogni allusione a Salvini, e non solo, è voluta). E’ cresciuta a pane e partito, pane e politica a partire da quando, ragazza di 15 anni, telefonò alla sede centrale del Msi per chiedere dove fosse la sezione più vicina a casa sua per scriversi e impegnarsi in politica nel Msi. Ricostruisce nel libro: “… La data che fu il motivo scatenante di quella decisione: 19 luglio 1992, il giorno dell’attentato a Paolo Borsellino”.

Impossibile, per chi legge, non tener conto che Borsellino, oltre che l’amico più fidato di Falcone, e come lui fatto saltare in aria dalla mafia 57 giorni prima, fosse stato da giovane militante politico della destra. Giorni, settimane, mesi ed anni di discussioni nelle sezioni affumicate, manifesti attaccati ai muri, volantinaggi per le strade di Roma, discussioni per la strada con la gente. E’ questo il cuore della spiegazione del fenomeno Meloni. La marcia in più che possiede rispetto agli altri attuali partiti. Così man mano che gli altri si sono consumati.