Dopo aver dato l’impressione di fare il possibile per evitare che la sconfitta elettorale si trasformi in una disfatta – sulla base di uno strano marchingegno basato sulla teoria del voto utile – Enrico Letta, a poche ore dal D Day, se ne va in giro affermando che il centrosinistra vincerà le elezioni. Certo Giorgia Meloni, negli ultimi giorni, non è stata sorda al richiamo della foresta; ma è troppo tardi per pensare che l’esito del voto possa smentire quanto i sondaggi confermano da mesi.

Durante la campagna elettorale si è persino temuto che la coalizione di Giorgia Meloni facesse il pieno dei seggi nei collegi uninominali, e riuscisse così a conquistare – grazie alla legge elettorale – una maggioranza tale da consegnare ai vincitori i voti sufficienti per cambiare da soli, a loro piacimento, la Carta Costituzionale. Si tratta di uno scenario inquietante che non può non sollevare qualche preoccupazione in tanti elettori; pure in coloro che, questa volta, hanno deciso di saltare il fosso e di votare un partito da cui avevano sempre girato alla larga. Ecco allora l’utilità di un “voto del dubbio’’, che può essere esercitato a prescindere dalla appartenenza politica, come se si dovesse sottoscrivere una polizza per essere tutelati nel caso di incidenti importanti. Abbiamo la fortuna di disporre ancora di un sistema bicamerale perfetto i cui difetti possono tornare utili in una circostanza come l’attuale.

Da tempo infatti il Senato rappresenta il terreno cedevole delle maggioranze elette, per cui grazie alla Camera Alta, questo Paese ha potuto evitare l’approvazione di leggi discutibili ancorché passate sugli scudi alla Camera. La democrazia è compromesso, non “tirannia della maggioranza”; ed è bene che siano previsti meccanismi istituzionali che lo rendano non già un’opzione, ma una necessità di buon governo. Oggi, dopo la sciagurata mutilazione delle due Camere, il successo delle destre potrebbe essere ridimensionato da una condizione di relativa precarietà della maggioranza nell’unica dove potrebbe divenire possibile: il Senato.

In campo, nell’uninominale, esiste solo la coalizione di centrosinistra in grado di competere con la gioiosa macchina da guerra di Giorgia Meloni. Ecco perché sarebbe utile votare, il più possibile, al Senato, nell’uninominale, per i candidati di questo schieramento, senza rinunciare ad esprimere un voto diverso alla Camera.

Le forze centriste, soprattutto, sanno di non poter essere in partita praticamente in nessun collegio uninominale e quindi non hanno nulla da perdere nel votare per i candidati del centrosinistra a Palazzo Madama. Anche perché, essendo il Senato composto soltanto da duecento componenti, è prevedibile che i numeri della maggioranza siano di dimensioni inferiori rispetto a quelli della Camera. Ne deriva che, a rosicarle qualche seggio, si potrebbe rendere meno stabile la maggioranza di centrodestra a Palazzo Madama. Non è una grande prospettiva, ma quando si perde la guerra ci si deve accontentare della guerriglia.