Aprire una pratica a tutela dei magistrati operanti nei distretti di Corte d’appello di Reggio Calabria e Catanzaro: è la richiesta avanzata al Csm dai togati di Area democratica per la giustizia, che denunciano la «delegittimazione» dei magistrati calabresi. «Letto il comunicato diffuso dalle Camere penali della Regione Calabria in data 1 luglio 2022; premesso che deve sempre essere riconosciuta la legittimità dell’esercizio del diritto di critica nei confronti dell’attività giurisdizionale», i togati di Area Giuseppe Cascini, Elisabetta Chinaglia, Alessandra Dal Moro, Mario Suriano e Ciccio Zaccaro osservano come «nel caso di specie, in luogo di critiche puntuali e argomentate relative a specifiche attività processuali o a specifici provvedimenti organizzativi, si assista a una denigrazione generica e generalizzata dell’intera attività giurisdizionale penale svolta da tutti i magistrati operanti nei distretti calabresi, con il risultato di determinare presso la pubblica opinione una delegittimazione diffusa e indiscriminata della funzione giudiziaria, tra l’altro in distretti già interessati da pervasive forme di criminalità organizzata e da disagi socio economici».

Insomma, il clima è diventato ancora più rovente, in Calabria, dopo che le Camere penali territoriali, per la prima volta tutte insieme, hanno indetto due giorni di astensione per il 14 e 15 luglio. A stretto giro arriva la replica dell’avvocato Valerio Murgano, presidente della Camera Penale di Catanzaro: «Si è persa l'ennesima opportunità di aprire un dialogo che noi avevamo chiesto prima di annunciare l’astensione. In questa richiesta di pratica a tutela non vi è alcun riferimento ai fatti che abbiamo sottolineato nelle nostre delibere. Noi abbiamo posto, a fondamento della nostra astensione, circostanze ben precise, come, l’abuso delle misure cautelari, il record di errori giudiziari, la corsia preferenziale degli appelli cautelari riservata ai requirenti. Eppure i magistrati del Csm non entrano nel merito delle questioni né le smentiscono. Si tratta della solita difesa corporativa. Noi tutti condividiamo la lotta alla criminalità ma non possiamo rimanere inermi dinanzi alla contrazione dei diritti dei cittadini, a partire da quello alla presunzione di innocenza. Anziché chiedere l’apertura di una pratica, che non ci spaventa affatto, avrei auspicato l’apertura di un tavolo di confronto con l’avvocatura».