«Siamo davvero soddisfatti che malgrado le difficoltà politiche alle quali abbiamo assistito, l’Italia abbia dimostrato la volontà di avanzare sulle riforme della giustizia richieste. Ma ora bisogna che l’ambizione dimostrata duri nel tempo e che siano rispettate le scadenze fissate nell’ambito del Pnrr». A dirlo, in una lunga intervista concessa al Dubbio, è il commissario europeo alla giustizia, Didier Reynders, in visita a Roma per due giorni nell’ambito delle iniziative legate alla pubblicazione, lo scorso luglio, del Rapporto annuale sullo Stato di diritto nell’Ue. Oggi il Commissario incontrerà la ministra della Giustizia Marta Cartabia per fare il punto su questa stagione di riforme dopo aver accolto ieri, presso la sede della Rappresentanza della Commissione Ue in Italia, la presidente del Consiglio Nazionale Forense, Maria Masi, e la consigliera Cnf a capo della delegazione italiana al CCBE (Consiglio degli Ordini Forensi Europei), Francesca Sorbi, che Reynders ha voluto incontrare privatamente per raccogliere i dubbi e le aspettative dell’avvocatura. A seguire, nel pomeriggio di ieri, anche un incontro congiunto con alcuni esponenti dell’Unione delle Camere Penali Italiane (Ucpi) guidati dalla Vice Presidente Paola Rubini e con una rappresentanza dell’Unione delle Camere Civili guidata dal Presidente Antonio de Notaristefani. Il dialogo con l’avvocatura si è incentrato sull’interesse della Commissione europea a verificare di persona quali siano le criticità relative alla efficienza del processo in relazione alla sfida della digitalizzazione della giustizia e all’utilizzo degli strumenti per implementare le misure connesse al Pnrr, con un approccio equilibrato anche al fine di consentire alla Commissione di verificare che gli investimenti siano corretti e coerenti con standard elevati di tutela dei diritti fondamentali. Centrali, nel discorso introduttivo di Reynders, anche la riforma del processo penale promosso dalla ministra Cartabia, le condizioni di detenzione nel nostro paese, e le criticità relative al processo civile. Si tratta infatti di elementi tra loro connessi, ha spiegato Reynders, il cui funzionamento è utile, e anzi fondamentale, alla promozione dei diritti all’interno dell’Unione Europea.

La Commissione è soddisfatta delle riforme italiane in tema di Giustizia?

Siamo felici che l’Italia abbia dimostrato un impegno politico netto, chiaro. Abbiamo accolto con soddisfazione la volontà di avanzare nelle riforme. Ma un conto sono le riforme in via astratta, un altro la loro realizzazione pratica. Ora bisogna che questa ambizione dimostrata duri nel tempo e che si rispettino le scadenze e le condizioni fissate nell’ambito del Pnrr. In particolare, a proposito dell’impegno preso sulla durata dei processi, è fondamentale che si abbia la possibilità di monitorare e verificare in tutti i tribunali italiani l’efficacia delle misure introdotte. E, soprattutto, è necessario che questo effetto sia il medesimo ovunque: se sussisteranno delle differenze tra le diverse realtà italiane - ad esempio tra Roma, Milano, e Napoli - bisognerà intervenire sulle singole situazioni di criticità. Insomma, bisogna che la volontà dimostrata sia mantenuta, e soprattutto bisogna evitare che le discussioni politiche riducano le aspirazioni che sottendono alle condizioni imposte dall’Unione Europea.

Commissario Reynders, lasciamo per un attimo l’Italia. Al momento lei sta guidando le complesse negoziazioni con la Polonia in merito all’erogazione dei fondi europei vincolati al rispetto dello Stato di diritto. Le procedure al momento sono bloccate, e la Corte di giustizia dell’Ue ha imposto una multa giornaliera a Varsavia perché non ha rispettato le sue decisioni. La Commissione intende andare fino in fondo, attivando il meccanismo di condizionalità previsto dal regolamento sui fondi?

Useremo tutti gli strumenti a nostra disposizione. La Commissione si è rivolta alla Corte di Giustizia europea per una serie di questioni che riguardano la Polonia e per chiedere una condanna finanziaria perché a nostro parere Varsavia non rispetta le decisioni della Corte stessa. Continueremo in questa direzione in merito al pronunciamento della Corte Costituzionale polacca sul primato del diritto europeo: si tratta di un dossier ancora aperto che sarà presentato alla Commissione affinché decida come muoversi. C’è la possibilità di andare di nuovo davanti alla Corte Europea, oppure di rivolgersi al Consiglio Ue, che è l’organo deputato a decidere sul meccanismo della condizionalità. Per ora abbiamo preparato delle lettere per chiedere chiarimenti, ciò che spero è che nelle prossime settimane tutti gli elementi siano sul tavolo della Commissione affinché decida. A proposito dei fondi europei, come ho spiegato più volte, abbiamo fissato delle condizioni molto strette, anche per l’Italia. Per la Polonia vale lo stesso: chiediamo che mostri rispetto per le decisioni della Corte di Giustizia, che sopprima le camere disciplinari per i giudici, che fermi i procedimenti in corso e reintegri i giudici che sono stati già sanzionati. Per il momento abbiamo ricevuto dichiarazioni positive in tal senso, ma non un impegno concreto. Perciò il dossier è ancora aperto. Il nostro fine non è sanzionare, ma ottenere che la Polonia rispetti il principio di indipendenza della giurisdizione. Ecco il vero problema: è diritto degli Stati membri dissentire dalle decisioni della Commissione, ma la Corte è la più alta giurisdizione europea, e la Polonia deve rispettarla.

Dunque la via del dialogo è ancora aperta?

A fine novembre sarò a Varsavia per verificare di persona la situazione. Per ora è stato molto difficile anche incontrare il ministro della Giustizia, Zbigniew Ziobro, che non si è mai presentato ad alcuna riunione tra guardasigilli.

Ritiene che il ruolo dell’Unione europea, sul tema dei diritti e dei valori democratici, debba essere rafforzato?

Bisogna innanzitutto distinguere tra due principi fondanti dell’Unione: il primato del diritto europeo sulle legislazione nazionale, sancito nei Trattati sottoscritti da tutti i paesi membri; e il valore vincolante delle decisioni assunte dalla Corte di Giustizia. Si tratta di principi che generano problemi in diversi paesi, come dimostra il caso della Germania al quale pure abbiamo risposto prontamente. Ma c’è una differenza sostanziale tra il caso polacco e quello tedesco: in Germania, come in altri paesi, le “proteste” sono state poste in essere da giurisdizioni indipendenti. Mentre la Polonia mette in discussione i Trattati stessi, come mai è avvenuto, attraverso una Corte Costituzionale che noi non riteniamo essere indipendente. Esistono delle evidenti irregolarità, certificate anche dalla Cedu. Non a caso, la Rete europea dei Consigli di Giustizia ha di recente deciso di espellere il Consiglio nazionale della magistratura polacco: vuol dire che gli stessi magistrati riconoscono un difetto di indipendenza.

È di stamattina (ieri, ndr), la notizia che il consigliere del Csm e presidente della Rete Europea, Filippo Donati, abbia ricevuto minacce e intimidazioni in seguito a questa decisione.

Non mi sorprende. Come ho sottolineato nel rapporto annuale sullo Stato di diritto nell’Ue, esiste un problema di sicurezza per i giornalisti, ma anche per i politici e per i giudici. Sappiamo, insomma, che la responsabilità politica prevede dei rischi. E la decisione della Rete europea dei Consigli di Giustizia, in particolare, dimostra che serve un maggiore sforzo per promuovere la cultura dello Stato di diritto. Al di là delle questioni tecniche, l’esercizio che io tento di mettere in pratica e che richiedo tanto alla società civile quanto alle istituzioni, è di promuovere i principi e i valori dell’Unione. Lo stesso concetto di Stato di diritto risulta astratto per la maggior parte dei cittadini, perciò dobbiamo spiegar loro come questi principi si traducono nella vita quotidiana. La Carta dei diritti fondamentali garantisce a ogni cittadino l’accesso a una giustizia indipendente. E a una giustizia di qualità, aggiungiamo noi. Diversamente, se si subiscono discriminazioni, per esempio per via del proprio orientamento sessuale o se si è penalizzati in qualunque modo, non si potrà contare sul potere giudiziario per ottenere tutela.

Per concludere, ritiene che il caso della Polonia abbia prodotto una frattura insanabile in tema di diritti e garanzie?

Se non avessimo reagito, avremmo corso certamente questo rischio. Bisogna far comprendere che la nostra unica pretesa è il rispetto e la difesa dei diritti dei cittadini polacchi.