Può il testo di una canzone diventare una prova o comunque un elemento di testimonianza rilevante in un processo per atti violenti, tale da condannare un imputato? Una domanda inquietante sulla quale si stanno interrogando avvocati, giudici e media nel Regno Unito. Sempre più spesso infatti i testi della musica trap, o meglio del suo sottogenere drill (mitraglia, arma automatica), sono indicati come veicoli di violenza ed elementi probatori per i processi penali.

Pistole, denaro e scontri tra gang sono gli ingredienti base di questo genere discografico, una ricetta non nuova ma che intorno al 2010, a partire dai sobborghi di Chicago, ha cominciato a discostarsi dal rap in cui l’immagine patinata della trap ha sostituito i contenuti della “gangsta culture”. Sono emersi suoni più lenti, ipnotici, caratterizzati dall’autotune ( effetto che modifica la voce). I giovani dei ghetti e non solo hanno così trovato un nuovo modo per esprimere rabbia ed emarginazione, con tratti che alcuni critici musicali non hanno esitato a definire «sociopatici» . La Drill music ha varcato velocemente l’oceano ed è attualmente la colonna sonora delle bande, quasi esclusivamente composte da ragazzi neri, che popolano le grandi città britanniche. La polizia si è interessata al fenomeno e non di rado prende in esame le parole dei brani che incitano allo scontro, fornendo materiali all’accusa per i processi (dal 2005 almeno 70 dibattimenti). Ora però molti avvocati difensori e accademici forensi denunciano questa deriva contestando questa pratica «che impedisce agli imputati di ottenere un processo equo».

Uno degli esempi più noti in Inghilterra è quello che si riferisce allo scontro avvenuto a Londra il 2 febbraio 2019. In una fredda sera che la Corte dell’Old Bailey ha paragonato ad un film di Hollywood, si sono affrontate due gang rivali, i Northumberland Park Killers contro i Wood Green Mob. Quest’ultimi ebbero la peggio, Kamali Gabbidon- Lynck, un ragazzo di 19 anni, infatti venne accoltellato a morte, otto colpi inferti dentro un affollato negozio di parrucchiere. Per l’omicidio vennero accusate e processate 5 persone, 3 di loro avevano solo 16 anni. Gli imputati erano tutti presenti sulla scena del delitto. Ma non tutti presero parte all'accoltellamento vero e proprio. L'accusa doveva invece provare che erano congiuntamente colpevoli di omicidio. Ed è proprio in questo caso che la Drill music ha contribuito a fornire un movente capace di legare tutti i protagonisti secondo la tesi pm poi accolta dal giudicie. La faida andava avanti da molto tempo, in molti erano caduti mortalmente. L’odio è stato espresso quindi anche attraverso alcuni video su youtube nei quali i membri delle gang cantavano rime che incitavano ad attaccare l’avversario e facevano riferimento a quella che poi è stata la vittima.

L'accusa affermò che c'erano solo due possibili spiegazioni per i testi espressi: «O descrivono la vita che già si conduce o descrivono la vita che si aspira a condurre» . I testi dunque furono presentati come prova che gli imputati avevano abbracciato una cultura della violenza. La giuria convenne che quanto accaduto quella notte fosse una «sortita organizzata in territorio nemico». Tutti gli imputati sono stati giudicati colpevoli di omicidio. Molti esperti hanno immediatamente sollevato dubbi.

La trap dovrebbe essere infatti considerata una forma d’arte o comunque d’espressione anche se scioccante. Un’opinione espressa da Eithne Quinn, accademica dell'Università di Manchester, preoccupata per l'uso della musica come prova nri processi contro i giovani sospettati di appartenere a qualche gang. Nella sua lunga esperienza ventennale come esperto difensore, ha rivelato che alle giurie vengono mostrati video con giovani uomini con passamontagna e maschere, che “rappano” di accoltellamenti e spaccio di droga. Per i pubblici ministeri quelle esibizioni equivalgono ad una confessione.

Un’interpretazione abusiva criticata anche da Abenaa Owusu- Bempah, esperta di prove penali presso la London School of Economics. L’accademica si dice «seriamente preoccupata per quello che sta succedendo nelle aule di tribunale in Gran Bretagna» perché l’accusa attinge a «immagini stereotipate di giovani uomini e ragazzi di colore dipinti come criminali amplificando gli stereotipi preesistenti». L’elemento razziale dunque farebbe parte dello svolgimento dei processi, Owusu- Bempah infatti ha preso in esame trenta casi nei quali i condannati sono ricorsi in appello, di questi solo uno ha avuto successo. Ad essere preso di mira allora sarebbe la cultura stessa di alcune fasce di popolazione che esprimono attraverso la musica il racconto della vita di tutti i giorni, la durezza della vita nelle periferie metropolitane, le disuguaglianze sociali senza che questo significhi necessariamente l’uso sistematico della violenza. E tantomeno una prova che sbatterti in cella.