«Si impone una proroga del termine di entrata in vigore» della riforma delle intercettazioni per un «lasso di tempo, che non potrà che essere successivo alla conclusione dellemergenza». Questa è la richiesta dellUnione camere penali italiane, inviata del 1 maggio: data in cui dovrebbe entrare in vigore il dl Intercettazioni (dl n.161/2019). E questo lasso di tempo di ulteriore proroga, scrivono i penalisti, «potrebbe essere loccasione per una novella che riporti la materia in aderenza ai principi costituzionali e tra questi a quelli che sovrintendono allesercizio del diritto difesa». Nel documento approvato dalla Giunta, infatti, si ribadisce il giudizio molto duro sulla riforma, definita «in palese ed insanabile contrasto, per il profilo sostanziale, con larticolo 15 della Costituzione e con larticolo 8 della Cedu e, sotto laspetto procedurale, è chiaramente e ripetutamente lesiva del diritto di difesa e della parità delle parti in evidente violazione degli articoli 24 e 111 della Carta Costituzionale». Oltre alle considerazioni critiche in merito allo strumento del Trojan come virus informatico per captare le informazioni, alla possibilità della cosiddetta pesca a strascico delle notizie di reato e agli aspetti procedurali di affidamento della valutazione di rilevanza delle intercettazioni, le Camere penali argomentano anche il fatto che «il legislatore si rivela incapace di coordinare e bilanciare due diritti fondamentali, entrambi costituzionalmente garantiti: il diritto alla riservatezza delle comunicazioni e quello di difesa». Non appare condivisibile, si legge « che nel tentativo, peraltro, nel concreto non riuscito, di meglio tutelare il diritto alla riservatezza il legislatore comprima quello di difesa impedendo allindagato e per lui al difensore, di conoscere lesito delle intercettazioni tempestivamente e di poter, nel rispetto, della parità delle parti nel processo, elaborare, senza condizionamenti ed interferenze le strategie difensive». I penalisti censurano anche lomissione «di un necessario intervento per rendere effettive le prerogative pure già riconosciute al difensore. Dal testo licenziato emerge infatti che le comunicazioni telefoniche con il difensore potranno ancora essere ascoltate dal pubblico ministero, non essendo stata prevista limmediata interruzione della captazione quando uno degli intercettati sia, appunto, il difensore, consentendo, anche in tale ipotesi, allaccusa di conoscere le strategie difensive e non essendo certamente sufficiente la sanzione della inutilizzabilità a garantire la sacralità del perimetro del diritto di difesa».Infine, segnalano i penalisti con riferimento allo stato emergenziale in cui sta operando la giustizia, «lentrata in vigore del provvedimento, proprio nel periodo di emergenza determinato dallepidemia da Covid 19 rende del tutto problematico per non dire impossibile, lesercizio delle prerogative difensive e segnatamente quello di controllo e selezione delle risultanze dellattività di captazione». La richiesta delle Camere penali non è isolata. Anche lAssociazione Nazionale Magistrati è intervenuta con un documento di uguale tenore, in cui ha definito «necessario differire lentrata in vigore della nuova disciplina delle intercettazioni, che richiede un insieme di misure organizzative tecnologicamente complesse, allevidenza impossibili da adottare e attuare entro il termine a oggi previsto». Nessuna valutazione di merito sulla riforma da parte del sindacato dei magistrati, ma solo la considerazione tecnico organizzativa di una sostanziale impossibilità di applicare la legge, nel caso in cui la sua entrata in vigore sia il 1 maggio. La parola, ora, spetta al ministero della Giustizia, che dovrebbe farsi alfiere di una ulteriore proroga dellentrata in vigore del dl Intercettazioni, il cui iter approvativo è stato già tanto lungo quanto accidentato e controverso. La legge, infatti, è stata approvata dalla Camera il 27 febbraio scorso, convertendo il decreto legge n. 161/2019, che modificava sostanzialmente la riforma Orlando del 2017, che allepoca era stata oggetto di aspri confronti in parlamento e anche nella galassia giudiziaria.