La statistica è materia da maneggiare con cura, manco fosse l’uranio arricchito. Altrimenti si rischia di dare messaggi fuorvianti; o, peggio ancora, di offrire la sensazione di essere supini a chi governa. L’Istat ieri ha diffuso un indicatore che fissa nel 56,5% la quota di italiani soddisfatta della propria condizione economica; percentuale che scende al 43,2% di quelli che la considerano “elevata”. In più, quasi un italiano su quattro ha fiducia negli altri. Non solo. Sempre l’Istat dice che i connazionali danno un “7+” di soddisfazione al proprio tenore di vita.

L’Istituto di statistica sottolinea che i dati sono i più positivi dal 2006: anno precedente alla crisi finanziaria del 2007/ 2008.

Sempre ieri, però, l’Inps ha comunicato dati discordanti rispetto alle rilevazioni dell’Istat. A gennaio 2020 le aziende italiane hanno chiesto all'Inps 21.312.158 ore di cassa integrazione con un aumento del 30,8% su dicembre e una crescita del 40,6% su gennaio 2019. Se la cassa integrazione cresce di oltre il 40% vuol dire che in giro per l’Italia sta montando la marea di inoccupati che non possono rispettare il precedente potere d’acquisto. E, quindi, difficilmente costoro saranno soddisfatti della propria condizione economica.

I consumatori del Codacons provano a trovare la spiegazione a questi dati contrastanti fra loro sostenendo che le statistiche dell’Istat mostrano un’Italia divisa a metà. La soddisfazione in Trentino Alto Adige è al 61%, mentre in Campania è al 31,6%. Forse, invece di leggere le statistiche con gli occhiali rosa, sarebbe sufficiente fare un giro nei mercati rionali. E porre una domanda banale: chiedimi se sono felice…