Stupisce che persino la prescrizione sia divenuta oggetto di scontro politico tra le stesse forze della maggioranza di governo.

La prescrizione è infatti un istituto che coinvolge fondamentali principi costituzionali in tema di funzionamento della giustizia e diritti dei cittadini, segnatamente il principio del giusto processo e il corollario della sua ragionevole durata, entrambi enunciati dall’articolo 111 della Costituzione.

Principi sulla cui attuazione sarebbe ragionevole aspettarsi un sostanziale accordo tra tutte le forze politiche, ferme restando eventuali marginali discordanze tra maggioranza e opposizione.

Si tratta cioè di trovare un punto di equilibrio capace di conciliare contrastanti esigenze. Da un lato la pretesa punitiva dello Stato, volta ad applicare la sanzione penale a chi ha commesso il reato e a rispondere alle aspettative di giustizia della vittima del reato e di sicurezza della collettività; dall’altro il cosiddetto “diritto all’oblio” a favore dell’autore del reato, cioè l’esigenza di evitare che la sanzione penale intervenga in un momento eccessivamente lontano dal reato, cioè quando il processo non è più “giusto”, perché le aspettative di giustizia della vittima sono ormai deluse e l’imputato è persona ormai diversa da chi allora aveva commesso il reato.

E’ invece accaduto che il ministro di Grazia e Giustizia, Alfonso Bonafede, ha presentato un disegno di legge, inspiegabilmente approvato da Camera e Senato, che viola clamorosamente quelle esigenze di equilibrio e, prima ancora, si appalesa manifestamente irragionevole.

La nuova legge dispone infatti che, dopo la condanna di primo grado, non esistono più termini oltre i quali, se non interviene una sentenza definitiva di condanna, il reato si estingue per prescrizione, ma l’imputato può essere raggiunto in qualsiasi momento, anche dopo anni o decenni da quando ha commesso il reato, da una sentenza definitiva di condanna.

Prima della legge Bonafede la disciplina della prescrizione, da sempre tormentata da incessanti modifiche, si era attestata su una legge del 2017, che dopo la condanna di primo grado prevedeva, sia in caso di appello che di ricorso per Cassazione, la sospensione del decorso dei termini di durata della prescrizione per un anno e mezzo, e così per un totale di tre anni di sospensione nei due gradi giudizio. Soluzione sostanzialmente equilibrata, a fronte della quale la dilatazione infinita dei tempi della prescrizione prevista dalla legge Bonafede appare priva di misura.

Risulta quindi quanto mai tempestiva una proposta di legge di alcuni deputati e senatori del Pd che sostanzialmente ripropone la riforma del 2017, stabilendo la sospensione dei termini della prescrizione per due anni nel giudizio di appello, nel quale più frequenti sono i casi di prescrizione dei reati, e di un anno nel giudizio di Cassazione, senza modificare il termine complessivo di sospensione di tre anni.

Se la proposta di legge del Pd dovesse tagliare il traguardo dell’approvazione parlamentare, ovviamente risulterà abrogata la legge Bonafede che, destinata ad entrare in vigore a partire dal 1° gennaio 2020, non avrebbe così neppure il tempo di trovare concreta applicazione.