Il carcere di Cosenza era in mano alla ‘ ndrangheta? È questo l’inquietante interrogativo che si evince dagli arresti di due agenti penitenziari effettuati dal procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri. Una indagine che, secondo il magistrato, fa parte di un pacchetto di inchieste ferme, dimenticate, alle quali nessuno aveva messo mano.

Secondo quanto sarebbe emerso, i boss in cella avrebbero continuato ad avere piena libertà di manovra. Incontravano picciotti e gregari, organizzavano riunioni, disegnavano strategie criminali, ordinavano estorsioni e rappresaglie. Quanto deciso poi veniva riportato diligentemente all'esterno dagli agenti finiti sotto indagine.

La vicenda trae origine dalla nota della Polizia Penitenziaria e dalle successive indagini del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Cosenza. In sostanza alcuni appartenenti al corpo della Polizia Penitenziari in servizio presso la Casa Circondariale di Cosenza, avrebbero posto in essere condotte tese a favorite alcuni detenuti, in particolar modo esponenti di spicco della criminalità organizzata locale, sia con azioni finalizzate a rendere confortevole il soggiorno in Casa Circondariale ( evidentemente contravvenendo alla disciplina penitenziaria), sia con azioni finalizzate a far comunicare i detenuti con l'esterno sicché potessero continuare ad avere un ruolo nelle consorterie di appartenenza e contribuire a perseguire gli scopi programmatici della consorteria stessa rafforzandone l'azione.

Le condotte illecite poste in essere dagli indagati sarebbero consistite in particolare, in primo luogo, in attività tesa a consentire comunicazioni con l'esterno - per mezzo di veri e propri pizzini- tra i soggetti detenuti e quelli in libertà volti ad assicurare il mantenimento delle associazioni, come la comunicazione dei soggetti ai quali estorcere danaro o la lista di quelli presso i quali andare a recuperare somme; nel consegnare telefoni cellulari per far comunicare con l'esterno; nel consentire delle proprie affiliazioni ' ndranghetiste, quindi ad interferire con le indagini in corso come, ad esempio, nel fornire informazioni sui soggetti che intendevano avviare la collaborazione con la giustizia.

Oppure nel riportare all'esterno richieste di assumersi la responsabilità dì omicidi, cosi sviando le indagini dell'autorità giudiziaria. Ma non solo, avrebbero consentito piena libertà di manovra, anche evitando attività di perquisizione all’ interno dell'istituto penitenziario o, in altri casi, nell'avvisare prima i detenuti dell'attività di perquisizione programmata. Gli agenti indagati avrebbero consentito ai detenuti di fare delle vere e proprie riunioni all’interno delle celle, favorendo le comunicazioni tra detenuti di alta sicurezza e quelli ordinari. Ma ci sarebbe anche di più.

Secondo le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, gli agenti sarebbero stati anche fondamentali per far saltare un processo. Sarebbero stati loro a procurare ad uno degli affiliati uno spray per alterare il timbro di voce e, quindi, falsare una consulenza fonica su un'intercettazione riguardante l'operazione “Terminator 4”. Quella conversazione registrata dagli investigatori era la prova regina in un processo per una tentata estorsione ai danni di un imprenditore, ma grazie a quello spray, l’indagato era riuscito a ingannare il perito fonico incaricato dell'identificazione, riuscendo così a strappare un'assoluzione. Le indagini sono progredite soprattutto a seguito della collaborazione con la giustizia di esponenti delle varie consorterie criminali che man mano iniziavano il nuovo percorso con la giustizia.

Le ricostruzioni cui gli inquirenti sono giunti, strettamente legate agli assetti del panorama criminale della provincia cosentina, hanno evidentemente tenuto conto di quel patrimonio di conoscenze emerso nell'ambito di procedimenti penali succedutisi nel corso degli ultimi anni aventi ad oggetto le attività della criminalità organizzata del cosentino. Su tali elementi e in ragione delle dichiarazioni dei collaboratori si è innestata l'attività della polizia giudiziaria che, in stretta collaborazione con la Polizia Penitenziaria, ha consentito di far emergere riscontri alle dichiarazioni rese e di tipo documentale e di tipo investigativo.