Assolto l’ex direttore del vecchio ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa. Non solo è innocente, ma è stato colui che ha sempre portato avanti una battaglia culturale contro i metodi coercitivi contemplati dal vecchio sistema manicomiale. Ed è vero. Adolfo Ferraro, l’ex direttore, in quanto componente della commissione Sanità e giustizia varata dal Parlamento, si era fatto promotore di un emendamento, poi approvato, che in pratica dimezzava il suo ruolo di direttore, perché equiparava gli Opg a strutture sanitarie. Ferraro, infatti, ha sempre creduto di poter curare i malati psichiatrici con metodi non violenti. È stato lui a togliere i letti di contenzione con il progetto ' Le ali ai letti'. Ha denunciato più volte quello che non andava negli Opg con Dario Fo e con altri artisti.

Ma non solo. Per aiutare i detenuti, ha anche ricevuto minacce, tanto da dover denunciare per diffamazione gli ex agenti penitenziari che vi operavano, visto che avevano resistenze culturali nei confronti di una diversa modalità di trattamento, più umana. L’accusa nei sui confronti era quella di aver fatto il contrario, ovvero di aver lasciato i malati senza attività trattamentali. Nel corso del processo, invece, si è dimostrato il contrario. Infatti, un paziente sentito come teste contro l’ex direttore, non solo ha parlato male degli agenti, ma ha detto anche «il dottore Ferraro mi ha salvato la vita». Ferraro fu anche vittima di un attentato incendiario. Fu lui l’artefice del famoso decreto legge, quello del 2008, che fece passare l’assistenza sanitaria penitenziaria, all’istituto nazionale sanitario. Un primo passo, anche per il graduale superamento degli Opg.

Oltre all’ex direttore, sono stati assolti anche gli altri imputati. Per tutti, 16 tra medici psichiatri e medici di guardia dell'allora Opg di Aversa, senza alcuna distinzione, l'accusa aveva avanzato la stessa richiesta di condanna: 2 anni e 2 mesi di carcere ciascuno, senza la sospensione condizionale della pena. Secondo l’accusa gli ex detenuti sarebbero state costretti a restare a letto per un periodo superiore a quello consentito e qualcuno sarebbe addirittura rimasto fermo nel letto per diversi giorni senza che nessuno si prendesse cura di loro.

Quello di Aversa è stato il primo manicomio d’Italia, voluto da Gioacchino Murat nel 1813. La Real Casa dei Matti, poi rinominata Ospedale psichiatrico Santa Maria Maddalena, nata originariamente da un convento ( la Maddalena appunto), si è nel corso di quasi due secoli estesa sino a raggiungere una superficie di 170mila quadrati. Poi, nel 1998, dopo venti anni dall’approvazione della legge Basaglia, finalmente la chiusura definitiva, per poi però convertirlo in un ospedale psichiatrico giudiziario. Nel corso di due secoli, il manicomio civile di Aversa è stato il luogo di tutte le sperimentazioni psichiatriche, sia quelle “terapeutiche” che quelle architettoniche. Qui si sono sperimentati i letti di contenzione, l’elettrourtoterapia, il coma insulinico, l’ergoterapia, i primi neurolettici negli anni Cinquanta. Migliaia di donne e uomini, senza speranza di cura o libertà, avevano riempito le mura, tanto da costringere a una costante ricerca di spazi e nuove celle.

Cmbiò poco però quando divenne, appunto, un Opg. Le denunce del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e della Commissione di inchiesta presieduta da Ignazio Marino dimostrarono l'attualità di questa storia. I manicomi non possono essere altro che luoghi di violenza e sopraffazione. La storia ha insegnato non solo la necessità di chiuderli, ma anche di superare ogni dispositivo di internamento psichiatrico e le forme di violenza che trasformano i medici in custodi e i sofferenti psichici in eterni prigionieri.