L' elezione del nuovo vicepresidente del Csm, David Ermini, ha provocato l’aspra reazione dei vertici del M5s, con conseguenze al momento imprevedibili. Il rischio è dietro l’angolo: incrinare profondamente il legame improntato sulla fiducia assoluta dei cinquestelle nei confronti delle toghe.

Un vicepresidente che fosse stato indicato dal Movimento avrebbe rappresentato per quest’ultimo un ulteriore importante riconoscimento. Così sarebbe stato se la maggioranza dei togati avesse scelto

L’Alberto Maria Benedetti, ordinario di Diritto privato all’università di Genova, selezionato sulla piattaforma Rousseau dagli iscritti al blog di Grillo. Le toghe, invece, hanno puntato su un rappresentante delle istituzioni di lungo corso come Ermini, il cui profilo evidentemente è sembrato migliore per garantire l’autonomia ed indipendenza della magistratura.

Ma appunto, l’esito del voto ha spinto i pentastellati ad affermazioni che non venivano utilizzate da tempo nei confronti dei magistrati. Fino alla richiesta di dimissioni di Ermini «per violazione dello Stato di diritto» dal parte vicepresidente del Parlamento europeo Fabio Massimo Castaldo.

A dar manforte ai cinquestelle, Autonomia & Indipendenza, la corrente della magistratura ritenuta in passato più vicina al Movimento. L’ex pm Piercamillo Davigo, leader e fondatore di A& I, ha usato parole di fuoco sul fatto che il plenum avesse scelto un politico e non un “tecnico”.

Chi conosce la storia del Csm sa bene, però, che la scelta del vicepresidente è, tranne un paio di casi, ricaduta sempre su un “politico”. A partire dal primo vicepresidente, Michele De Pietro, che era stato parlamentare per due legislature e ministro della Giustizia. Fino a Giovanni Legnini, anch’egli parlamentare per due legislature nonché sottosegretario.

Quali sono gli aspetti segnalati dall’elezione di Ermini? Di certo la neutralizzazione del “partito dei laici”: I componenti eletti dal Parlamento sono stati ininfluenti. Poi il rischio di una crisi per Area, il cartello della magistratura progressista, che non ha votato un esponente legato al mondo della sinistra come Ermini ma ha finito per appoggiare, per paradosso, con i tanto vituperati laici leghisti, il candidato dei cinquestelle, che hanno nel programma sulla giustizia il sorteggio dei membri del Csm. Ipotesi ritenuta da sempre irricevibile dai magistrati progressisti. Infine la sconfitta della linea politica di alcuni giornali che hanno tifato apertamente per il M5s e Davigo.

Ora il M5s potrebbe puntare alla riforma del Csm con l’introduzione del sorteggio. Modifica che non appare facilmente realizzabile in quanto, essendo necessario intervenire sulla Costituzione, richiede una ampio consenso.

La replica arriva dalle toghe di Unicost e di Mi. «I membri laici non appartengono a qualcuno, se non all’Istituzione, ed è per questo che sono votati non da un singolo partito o movimento, ma da tutto il Parlamento. Affermare che votando l’uno o l’altro quale vicepresidente si sia voluto esercitare prerogative diverse da quelle costituzionalmente assegnate al Consiglio significa o rinnegare la scelta compiuta in sede parlamentare collettivamente con riguardo a tutti i componenti laici o confondere, con pericolosa assonanza, il concetto di indipendenza con quello di appartenenza», scrivono le toghe di Unicost.

«L’ articolo 104 della Costituzione recita: ‘ Il Consiglio elegge un vice presidente fra i componenti designati dal Parlamento”. Non c’è scritto ‘ che sia gradito al Ministro della Giustizia’. Questo significa che ciascuno degli otto componenti laici è potenzialmente in grado di essere eletto come vicepresidente. Peraltro, sulla base dei resoconti di cronaca del tempo, Ermini fu eletto dal Parlamento anche sulla base dei voti del M5s e quindi fu ritenuto idoneo ad assumere anche l’incarico di vicepresidente, laddove il Consiglio si fosse determinato in tal senso”, la nota al vetriolo di “Mi”, cui segue la richiesta di intervento urgente dell’Anm a tutela del prestigio del Csm.