Le prime dichiarazioni rilasciate al Dubbio da Francesco Basentini, neo capo del Dap, non hanno lasciato indifferenti il mondo dell’avvocatura e gli esponenti delle istituzioni e realtà politiche e associative che si occupano di carcere ed esecuzione penale.

Per il professor Glauco Giostra, Coordinatore Scientifico di quelli che furono gli Stati Generali dell’esecuzione penale e presidente della Commissione che si è occupata dell’Ordinamento Penitenziario «il dottor Basentini apostrofa il più organico progetto di riforma dal 1975 “svuotacarceri”. Se con questo rozzo neologismo si intende come ben precisa lo stesso capo DAP “libertà incondizionata per tutti quanti i detenuti indistintamente”, mi piacerebbe che si indicasse una sola disposizione del progetto cui sia ascrivibile un tale obbiettivo. In compenso – aggiunge Giostra - posso far presente che la riforma avrebbe abrogato l’unica normativa ' svuotacarceri' presente nel nostro ordinamento, ossia la legge 199 del 2010, che prevede l’espiazione presso il domicilio delle pene sino a 18 mesi. Il dottor Basentini afferma, condivisibilmente, che “la misura alternativa deve premiare il detenuto meritevole”: proprio quello che prevede la riforma, imponendo peraltro prescrizioni molto più impegnative delle attuali. Viene il sospetto che non abbia avuto tempo di leggere il nostro progetto o che gli abbiano sottoposto un testo sbagliato”. Duro anche il commento di Rita Bernardini, membro della presidente del Partito Radicale, per la quale quella del magistrato Basentini è una «visione carcerocentrica, come se solo il carcere debba costituire la pena, e che va nella direzione opposta alle regole penitenziarie europee e a quanto di più avanzato si registra a livello internazionale nel trattamento dei detenuti per abbattere la recidiva». L’esponente radicale torna anche sulla mancata autorizzazione dal Dap a visitare il carcere di Taranto: «È un segnale fortemente negativo che dimostra il cambiamento di rotta rispetto alle amministrazioni precedenti. Proprio la motivazione del diniego – per cui non si ravvedono motivazioni trattamentali, lascia a bocca aperta perché nel frattempo a Taranto si è registrato un suicidio e un tentativo di suicidio e la popola- zione carceraria è in aumento; a causa di ciò i detenuti non hanno alcuna risposta di tipo trattamentale. Quando a capo del Dap c’era Santi Consolo abbiamo conosciuto massima disponibilità e trasparenza degli istituti penitenziario».

Più morbida la posizione del professor Mauro Palma, Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale: «Credo che il dottor Basentini sia una persona che voglia capire il carcere, che vuole individuare quali siano le criticità. Non leggo risposte di una persona chiusa in se stessa e nel proprio pensiero. Tuttavia vedo che l’influenza a volte di quella che può essere la percezione dell’opinione pubblica sul carcere predomina su quella che è l’effettività del carcere su cui occorre ragionare in termini laici. Inoltre mi sembra che non venga messo in discussione il tema dei diritti ma se non vogliamo che la pena sia mera retribuzione non basta garantire i diritti in un sistema che soltanto sottrare tempo, dobbiamo dare anche una componente utile. È necessario un sistema che ci garantisca che il ritorno al sociale non sia uguale alla situazione precedente». E in merito ai protocolli stilati dal Dap per i lavori all’esterno, il Garante è chiaro: «A parer mio il lavoro deve essere retribuito, in una forma o nell’altra, anche come riduzione dei tempi per accedere alle misure. Non è detto che retribuzione equivalga sempre a soldi. Nei protocolli dovrebbero essere garantite delle certificazioni del lavoro svolto, spendibili una volta fuori dal carcere». Sull’idea di Basentini per cui la riforma del carcere ormai bocciata sarebbe stata uno svuotacarceri: «Come dicevo prima forse c’è troppa attenzione alle percezioni esterne da parte di una persona che ha ancora molto bisogno di ascoltare». Per l’avvocato Francesco Petrelli, Segretario dell’Unione delle Camere Penali: «Lo spazio della rieducazione e della risocializzazione nella concezione di Basentini viene ridotto a semplice spazio di contenimento. Costruire nuove carceri diviene così il passaggio assiomatico più semplice. Un passaggio che, tuttavia, nega a priori l’utilità di politiche volte all’utilizzo del carcere come ultima ratio, sia sotto il profilo cautelare che sotto il profilo dell’esecuzione. Ritenere che non sia “edificante agli occhi della popolazione” consentire a soggetti non pericolosi, che si sono magari macchiati occasionalmente di un reato non particolarmente grave, di non entrare in carcere, ma di scontare la propria pena in maniera alternativa, significa negare l’evidenza dell’esperienza carceraria come moltiplicatore di marginalità, di devianza e di recidiva. In una parola negare che la moltiplicazione dell’uso del carcere e la riduzione delle pene alternative costituisce per la collettività uno spreco di risorse ed una riduzione di sicurezza». E infine: «Il problema del carcere e del sovraffollamento non si risolve con la retorica dei rimpatri e non si risolve certo costruendo nuove carceri, ma costruendo al contrario una nuova cultura della pena».