Prima rissa della legislatura. A scatenarla è un provvedimento in apparenza innocuo: il decreto che ha sospeso tutti i termini dei processi penali a Bari, in attesa di un’alternativa al Palagiustizia inagibile. Schiaffi e minacce alla Rugantino tra deputati di Fratelli d’Italia e della Lega. Sullo sfondo le accuse del Pd, ricalcate su un articolo di Repubblica, nei confronti del governo per le ombre di “mafiosità” del proprietario dell’immobile scelto per il trasloco. Come nelle migliori farse, gli atti sono l’uno assai diverso dall’altro. Il primo è una carnevalata forcaiola alla rovescia: il Pd fa la parte manettara e il M5s deve difendersi. Nel secondo atto della messinscena offerta ieri dall’aula di Montecitorio durante l’esame del decreto sul Tribunale di Bari, si passa invece al canone più tradizionale del Rugantino: schiaffi e minacce del tipo «ti ammazzo» tra deputati di destra, Fratelli d’Italia contro Lega. Il tutto per discutere il provvedimento d’urgenza con cui lo scorso 22 giugno il governo ha deciso di sospendere tutti i termini dei processi penali – prescrizione compresa – nel capoluogo pugliese, in vista dello smantellamento della tendopoli presso cui si sono celebrate, per un mese, le udienze “sfrattate” dal Palagiustizia inagibile. Decreto, per la cronaca, che al momento di mandare in stampa questo numero del giornale è ancora in discussione a Montecitorio.

Il primo dei due tempi della commedia è istruttivo. A interpretare un ruolo da protagonista qui è Alessia Morani. Renziana di lungo corso, dunque si presume consapevole che il tema dei temi è la giustizia. E invece alla parlamentare democratica non par vero di poter impallinare il guardasigilli Bonafede. Come arma da fuoco utilizza la copia di Repubblica fresca di stampa. Vi si legge che il ministro ha scelto di trasferire il Tribunale penale di Bari, a rischio crollo, in un edificio appartenuto all’imprenditore Pino Settanni, il quale avrebbe prestato dei soldi a tale Michele Labellarte, considerato il cassiere del clan Parisi. Come perdere unì’occasione simile. Peccato che a leggere bene l’articolo non salti fuori lo straccio di un’ipotesi di reato contro questo Settanni. Che ne viene fuori semplicemente come un immobiliarista danarosissimo, le cui amicizie con il cassiere di cui sopra non hanno trattenuto dal comparire, come teste, a un processo contro il famigerato clan. Nell’occasione, Settanni “si cantò”, come direbbero a Bari, l’amico Labellarte e le sue poco raccomandabili conoscenze. Un imprenditore antima- fia, di fatto, spacciato da Morani per un mezzo criminale.

Il ministro della Giustizia prova opportunamente a raffreddare gli animi e a riportare i deputati con i piedi per terra: «La procedura di individuazione dell’immobile destinato a ospitare gli uffici giudiziari baresi è stata eseguita nel pieno rispetto delle regole, in maniera pienamente trasparente». Ciononostante, aggiunge in aula, «farò tutti gli approfondimenti e prenderò le decisioni necessarie». Dopodiché rivolge un promemoria elementare: «Tutto questo non ha nulla a che vedere con il decreto, che riguarda solo la necessità di sospendere i processi. E nessuno può dire che gli uffici giudiziari di Bari dovrebbero rimanere nelle tende o sospesi sine die», aggiunge con una punta di veleno.

Rischia di doversi abituare, il guardasigilli, alle malizie mediatico– giudiziarie usate come una clava dall’opposizione. Il Pd non ci fa una bella figura. Peggiore, però, è quella messa insieme dal parlamentare di Fratelli d’Italia Marco Silvestroni e dal leghista Eugenio Zoffili, sorretti dalle rispettive truppe di complemento. Un altro deputo della Meloni dice al lumbard: «Ti ammazzo, stai zitto». Questo risponde: «Sciacquatevi la bocca quando parlate della Lega». Un attimo e sono botte, con Silvestroni che rotola per gli scranni e i commessi sconcertati che provano a dividere. Il resto è maschia sdrammatizzazione: «Qualche schiaffo e niente di più». Buona la prima. Altre risse verranno.