I garanti regionali e locali dei diritti dei detenuti fanno pressione al ministro della Giustizia affinché si realizzi al più presto la riforma dell’ordinamento penitenziario e chiedono un incontro urgente con lui. La loro preoccupazione è stata espressa durante il seminario “Costituzione e clemenza collettiva. Per un rinnovato statuto dei provvedimenti di amnistia e indulto”, organizzato venerdì scorso dalla onlus “La società della ragione”. Il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Lazio, Stefano Anastasia, tramite un comunicato spiega che i garanti «manifestano una grave preoccupazione per il ritardo nella trasmissione alle Camere dello schema di decreto legislativo di riforma dell’ordinamento penitenziario già approvato dal Consiglio dei ministri, e ancora più per la mancata approvazione dei decreti sull’ordinamento minorile, sul lavoro, sulla giustizia riparativa e sulle misure di sicurezza». Il garante Anastasia sottolinea che «un particolare allarme suscita il blocco del decreto sull’affettività in carcere: dopo 18 anni dal tentativo di inseri- mento nel Regolamento del 2000 risulta incomprensibile uno stralcio imputabile alle pressioni di alcuni sindacati della Polizia penitenziaria». Anastasia spiega che i garanti si fanno interpreti di un malessere presente nelle carceri rispetto ad aspettative che potrebbero andare deluse. «Quindi – conclude il garante -, per i rapporti di stima e la leale collaborazione istituzionale sempre perseguita, manifestiamo al ministro Orlando la nostra disponibilità a un incontro in tempi rapidi in cui rappresentare le nostre preoccupazioni». Preoccupazioni, ricordiamo, espresse anche dall’esponente del Partito Radicale Rita Bernardini e per questo ha deciso di riprendere lo sciopero della fame dalla mezzanotte del 22 gennaio. Una riforma che rischia di non realizzarsi. La parte dei decreti delegati approvati lo scorso 22 dicembre in via preliminare dal Consiglio dei ministri devono ancora passare all’esame delle commissioni giustizia della Camera e Senato. Secondo la procedura hanno 45 giorni di tempo per esprimere eventuali pareri. A questo si aggiunge la proroga fino al 31 marzo data alle commissioni instituite dal Guardasigilli che hanno elaborato i decreti. Però, nel mezzo, ci sono le elezioni politiche e ciò potrebbe rallentare, o nelle peggiore ipotesi bloccare, l’intero iter di approvazione. Una preoccupazione, come detto, espressa anche dai garanti dei diritti dei detenuti. La loro richiesta al ministro Orlando è maturata dopo l’incontro di venerdì scorso. Un seminario organizzato per affrontare il discorso dell’amnistia. Sì, perché è stato evidenziato come la clemenza, atto contemplato dall’articolo 79 della nostra Costituzione, è stata inattuata da quasi 30 anni. Dopo l’ampia amnistia di pacificazione concessa nel 1946, è vero che amnistia e indulto sono stati approvati con regolarità quasi ciclica: nel 1948, 1949, 1953, 1959, 1963, 1966, 1970, 1973, 1978, 1980, 1981, 1982, 1983, 1986, 1990, 1992. Da allora però, con l’unica eccezione dell’indulto nel 2006, sono trascorsi tre lustri senza una legge di clemenza. Nei confronti di tale strumento, come hanno denunciato gli organizzatori, c’è l’ostilità giuridica, politica e informativa. Per questo motivo il seminario ha proposto di contestare la fondatezza di tale pregiudizio «al fine di restituire agibilità, politica e costituzionale, alle leggi di amnistia e indulto». Da questo seminario è stata elaborata una proposta di revisione costituzionale dell’art. 79 Cost che, nella sua attuale formulazione, concorre all’oblio degli strumenti di clemenza. Ricordiamo che non è un caso che dal 1992 il Parlamento non emana la clemenza collettiva. Questo perché, è bene ricordare, che con la legge costituzionale 6 marzo 1992 n. 1 è stato modificato l’articolo 79 della Costituzione. Il testo originario dell’articolo stabiliva che questi provvedimenti di clemenza fossero concessi dal Presidente della Repubblica su legge di delegazione delle Camere: di fatto la modifica ha codificato quello che già avveniva nella prassi, poiché il Capo dello Stato normalmente si limitava a far propria la proposta di legge approvata dal Parlamento, ma ora, imponendo, anche la maggioranza qualificata dei due terzi che viene richiesta per l’approvazione dei singoli articoli e per la votazione finale. Quindi non basta più la maggioranza relativa, ma ben due terzi del parlamento. L’obiettivo, oggettivamente raggiunto, era quella di porre un freno alle concessioni di amnistia e di indulto. Il testo di riforma elaborato dal seminario sarà poi messo nella disponibilità di tutti i parlamentari della prossima XVIII Legislatura, facendone mezzo e fine per una battaglia di politica del diritto. A tal proposito giova ricordare che, all’indomani della morte di Marco Pannella, il senatore Luigi Manconi depositò al Senato un disegno di legge costituzionale dedicato proprio al leader storico del Partito radicale. Il ddl era volto per modificare l’articolo 79, facilitando la concessione dell’amnistia. «Oggi offriamo l’opportunità di verificare se l’omaggio a Pannella era mera ipocrisia o può avere un seguito concreto», disse Manconi. Sono passati due anni, la legislatura è al termine, ma quel disegno di legge è rimasto nel cassetto.