«La ricca Catalogna vuole separarsi dalla Spagna per ragioni economiche e gli indipendentisti hanno giocato con il sentimento localistico». Biagio De Giovanni, filosofo, eurodeputato e docente di Dottrine Politiche all’Orientale di Napoli, analizza la questione spagnola dopo il referendum per l’indipendenza e le conseguenze sul piano politico, a livello nazionale ma anche europeo.

Professore, partiamo dalle violenze della polizia in piazza. Che cosa ha spinto il governo di Madrid a un intervento così duro?

Sicuramente si è trattato di un errore politico del governo spagnolo. Non non c’erano le ragioni per colpire con questa forza e lo sbaglio tattico rinfocola, persino con una certa legittimità, la reazione dei tanti indignati. Questo, però, non legittima la questione catalana.

Torto da entrambe le parti, dunque?

Le cito, provocatoriamente, un discorso di Max Weber: «Lo Stato è il monopolio della violenza legittima». Che la reazione di polizia sia sbagliata è evidente, che il referendum fosse illegale è ugualmente evidente. Si tratta, dunque, di misurare la reazione. Se c’è stata violenza allora hanno necessariamente ragione quelli che sono stati sopraffatti? Non credo si possano leggere così problemi di questa complessità.

Quali riflessi politici si trovano nell’indipendentismo catalano?

Io credo che la questione catalana si possa riassumere con la locuzione “populismo delle piccole patrie”. Il populismo, inteso come stato endemico di reazione contro il sistema, ha due radici: quella sovranista di Le Pen e Salvini che quella opposta dei catalani, che invece si oppongono all’idea di nazione. La ricca Catalogna vuole sottrarsi alla dimensione dello Stato- nazione perchè la sua ricchezza non si disperda altrove e, per farlo, gli indipendentisti giocano su questo lo- calismo regionalistico.

Quindi la vera istanza indipendenza si fonda sul piano economico e non su quello identitario?

Ogni piccola patria ha delle ragioni identitarie e culturali. Quella che prevale, però, è l’istanza economica. Non a caso tutte le piccole patrie - si pensi anche alla Lombardia e al Veneto - sono regioni ricche, che non vogliono condividere quanto producono con uno Stato- nazione in cui non si riconoscono. Ciò che prevale è l’obiettivo di entrare nel circuito delle regioni ricche d’Europa: la Lombardia ha più interesse a stare con la Baviera che con la Campania, così la Catalogna preferisce stare con le ricche regioni francesi che con l’Andalusia.

E tutto questo sarebbe plausibile in una cornice europea?

Questa forma di populismo si fonda su un’idea di Europa molto diversa rispetto a quella attuale, perché annulla il rapporto con lo Stato- Nazione. La regione Catalogna vuole entrare in rapporto diretto con l’Europa senza l’intermediazione di Madrid. In sostanza, si tratta della dissoluzione dell’idea di nazione: una prospettiva che, a mio modo di vedere, porta più rischi che benefici e produce il forte intorbidarsi del rapporto con il processo di integrazione europea.

In questi giorni convulsi, emblematico è stato il silenzio delle istituzioni europee. Una posizione corretta?

L’Europa non ha il diritto di intromettersi in fatti di questo tipo, schierandosi con il governo oppure con gli indipendentisti. Al massimo, ed è quello che ha fatto il presidente Junker, può pronunciare frasi generiche di condanna delle violenze e di appelli all’unità. Il problema però, è un altro: non che cosa può dire l’Ue in questo momento, ma che cosa deve fare per essere davvero Europa. Non dimentichiamo che il processo di integrazione europea ha per interlocutori gli stati sovrani.

Anche l’Europa ha colpe per lo scoppio dell’istanza indipendentista, quindi?

Se l’Europa funzionasse, probabilmente fatti come quelli di domenica non sarebbero accaduti. In altre parole: se l’Europa avesse un’anima politica, si ridurrebbe lo spazio per queste “piccole patrie”. L’Europa di oggi, come corpo sovranazionale, esiste in quanto in rapporto con le singole nazioni. Se eliminiamo quelle, sparisce anche il concetto di sovranazionalità. Il punto è che l’Ue deve sviluppare un processo di integrazione che aiuti gli Stati a diventare pezzi di un’Europa integrata. Lo Stato, però, è elemento imprescindibile.

Guardando al post- referendum, che succederà domani in Spagna? Partiamo dal risultato: il sì ha vinto col 90% ma ha votato il 40% degli aventi diritto. Al netto di chi forse non ha votato per paura, è probabile che questa maggioranza schiacciante di autonomisti non esista nella stessa Catalogna. Mi sembra quindi oggettivamente improbabile che la secessione vada davvero in porto e dunque l’unica strada è quella del compromesso, magari per ottenere una maggiore autonomia. Piuttosto, è possibile che l’unico effetto sia la caduta del governo Rajoy.

Su quali basi politiche?

Si tratta di un governo molto debole, perché di minoranza e sostenuto dall’astensione dei socialisti, che però dopo i fatti di domenica si troveranno in grave difficoltà nel continuare a fare da stampella. Probabilmente, quindi, si tornerà alle urne e sarà la Spagna intera a dare indicazioni sul proprio futuro.