La Tunisia si conferma all’avanguardia nel mondo arabo- islamico nel campo dei diritti, varando una nuova legge contro la violenza sulle donne. Composta da 43 articoli, la legge 60 del 2016 è una legge complessiva che riguarda diversi aspetti, per sradicare ogni forma di violenza basata sulle differenze di genere, al fine di raggiungere la parità e la tutela della dignità umana.

L’Assemblea dei rappresentanti del popolo, il parlamento monocamerale tunisino, l’ha approvata all’unanimità, seppure con diversi assenti. Il nuovo testo - che entrerà in vigore sei mesi dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale - introduce il riconoscimento di ogni genere di violenza ( fisica, morale e sessuale) e prevede un’assistenza legale e psicologica alle vittime.

Tema molto spinoso e significativo è stata la riforma dell’articolo 227 bis del Codice penale, che prevedeva la possibilità per gli stupratori di evitare la prigione se sposavano le loro vittime. In particolare questo valeva per lo stupro di minori, prevedendo l’abbandono del procedimento legale contro il responsabile di atti sessuali ' senza violenza' nei confronti di una minore di quindici anni in caso di matrimonio con la vittima. Non un caso astratto, ma una pratica che è capitata in diverse occasioni e che spesso finiva poi col ripudio della giovane da parte del marito stupratore.

La rivolta contro questa attenuante era scaturita proprio da un caso recente, quando a dicembre la società civile si era mobilitata contro un tribunale del Kef che aveva autorizzato un uomo a sposare la ragazza di 13 anni che aveva violentato.

Ora questo escamotage non esiste più ( anche se il violentatore potrà sposare la vittima, essendo comunque punito), e anzi secondo il nuovo articolo 227 bis, chiunque abbia rapporti con una minore di 16 anni senza il suo consenso sarà punito con sei anni di reclusione. L’età del consenso per un rapporto sessuale inoltre è stata innalzata dopo un acceso dibattito e cambiamenti dell’ultima ora da 13 a 16 anni.

Altro divieto introdotto, quello di impiegare ragazze minorenni come collaboratrici domestiche, altrimenti si incorre in pene fino a sei mesi di detenzione. L’articolo 16 poi stabilisce che ogni tipo di molestia contro le donne negli spazi pubblici, sia fisica che verbale, sarà punita con tre mesi di carcere e con 550 dinari di multa, l’equivalente di circa 200 euro.

Molti politici e commentatori tunisini hanno accolto la legge con favore, definendola una «rivoluzione legislativa», in armonia con la Costituzione e gli accordi internazionali sui diritti umani ratificati dalla Tunisia.

L’unanimità è stata infatti ottenuta sottolineando la necessità di superare le differenze politiche e ideologiche al fine di preservare la donna, il bambino, la famiglia e la società tunisina nel suo insieme da tutte le forme di violenza. Diversi attivisti sottolineano che quanto stabilito nella legge non è ancora sufficiente, ma tutti sono consapevoli di quale passo avanti sia rispetto ad altre realtà arabo- islamiche: basti ricordare la carenza di diritti per le donne in Arabia Saudita, dove pochi giorni fa un video di una donna in minigonna in un sito archeologico ha suscitato grande scandalo.

Inoltre la Tunisia è già all’avanguardia nel campo dei diritti femminili. Nel 1956 le autorità tunisine hanno introdotto l’abolizione della poligamia e la possibilità di divorziare.

La difesa della parità di genere è stata inserita all’articolo 20 della Costituzione approvata nel gennaio del 2014. Ad oggi, inoltre, la Tunisia presenta la più alta percentuale di donne in Parlamento nei Paesi arabi, con il 34 per cento dei seggi. Ciononostante i problemi non mancano.

Secondo un recente studio del Centro di Ricerca e Informazione sulle donne, oltre il 50 per cento delle donne tunisine ha affermato di aver subito almeno una volta violenze o molestie in strada, al lavoro, nei trasporti pubblici o altri luoghi di intrattenimento.