La pm Paola Tonini mise sotto inchiesta l'allora sindaco di Venezia Giorgio Orsoni. Che per lei non era un indagato qualsiasi: l'ex primo cittadino prima di essere eletto faceva l'avvocato amministrativista. E la magistrata della Procura lagunare lo aveva "ingaggiato" come difensore per alcune cause civili, per poi ritirargli il mandato in seguito ad alcuni diverbi. Nonostante gli esposti di Orsoni, il Csm non ha rilevato, per la pm Tonini, alcuna incompatibilità con l'inchiesta.È un problema, per utilizzare un termine in voga al Csm, di "fonti di conoscenza". Fino a quando, infatti, la Prima Commissione di Palazzo dei Marescialli, competente per la valutazione dei profili di incompatibilità, e la Procura generale della Cassazione, titolare del potere disciplinare, per lo svolgimento delle rispettive attività istruttorie nei confronti di un magistrato continueranno ad avere come "interlocutore" principale il capo dello stesso magistrato, molto difficilmente si potrà giungere a delle determinazioni puntuali e, soprattutto, rispondenti ai fatti accaduti. In particolar modo per quanto attiene al dovere di astensione del magistrato nel trattare un procedimento quando sussistano gravi ragioni di convenienza.Orsoni disse: «La pm non mi ha pagato»L'ultimo caso in ordine di tempo riguarda la vicenda del sostituto procuratore veneziano Paola Tonini, il magistrato che ha condotto l'indagine sul "Mose". Indagine che ha terremotato l'amministrazione comunale veneziana e che ha portato, nel giugno del 2014, l'allora sindaco Giorgio Orsoni agli arresti domiciliari.Orsoni aveva presentato un esposto al Csm affinchè fosse valutata la condotta della Tonini sotto l'aspetto della incompatibilità ambientale, visto che non si era astenuta dallo svolgere indagini nei suoi confronti nonostante fosse legata a lui da stretti rapporti economici e professionali. Tonini e i suoi familiari avevano, infatti, come legale di fiducia, in alcuni procedimenti civili e amministrativi che li riguardavano, proprio Orsoni. Il quale, prima di essere eletto sindaco di Venezia, svolgeva a tempo pieno l'attività di avvocato amministrativista.Nell'esposto Orsoni ricostruiva puntualmente i suoi rapporti con Tonini, la quale, per la cronaca, si era pure sottratta, a detta di Orsoni, al pagamento degli onorari per l'attività professionale da lui svolta. Orsoni aveva così intentato una causa civile per ottenere il pagamento.Nonostante ciò, oltre a non essersi astenuta, aveva continuato imperterrita a svolgere le attività d'indagine contro Orsoni, addirittura interrogando personalmente un suo coimputato.L'altro giorno, il Plenum del Consiglio superiore della magistratura ha definito l'esposto di Orsoni con una archiviazione, ritenendo che non ci siano gli estremi per una procedura di trasferimento d'ufficio per incompatibilità ambientale o funzionale, disponendo solamente l'inserimento di questa delibera nel fascicolo personale del magistrato, in modo tale che, in occasione delle valutazioni sulla sua professionalità, ciò sia almeno tenuto in considerazione.Dissenso in plenum da zanettin e leoneA questa decisione si è giunti solo grazie all'intervento del laico di centrodestra Pierantonio Zanettin, che dopo una prima archiviazione aveva fatto riaprire la pratica al Csm. Infatti, l'anno scorso, basandosi sulle informazioni fornite dal procuratore di Venezia, l'esposto di Orsoni era stato inizialmente chiuso senza provvedimenti.Come ha duramente evidenziato un altro laico di centrodestra, l'ex vicepresidente della Camera Antonio Leone, quando a suo tempo erano stare richieste informazioni sul punto al procuratore capo di Venezia, questi aveva rappresentato come «non si ravvisassero problemi nella condotta della Tonini». Un atteggiamento, quello del capo dei pm lagunari, tendente «a minimizzare» l'operato del sostituto. L'ultima parola spetterà, a questo punto, alla Procura generale della Cassazione per l'eventuale procedimento disciplinare.