Il caso Tortora, il più grande esempio di macelleria giudiziaria all’ingrosso del nostro Paese.Sono passati 28 anni dalla morte, il 18 maggio, del giornalista e presentatore. «Speriamo che il mio sacrificio sia servito a questo Paese, e che la mia non sia un’illusione». Così, con un filo di voce, pochi giorni prima della fine, Enzo Tortora si rivolse all’amico Leonardo Sciascia. E lo scrittore siciliano suggerì l’epigrafe posta sul monumento funebre di Tortora al Cimitero Monumentale di Milano. Una colonna spezzata simbolo della Storia della colonna infame, di Alessandro Manzoni, con la scritta “Che non sia un’illusione”.All’interno l’urna con le sue ceneri, cremato per sua volontà con una copia dell’opera di Manzoni e gli occhiali, che spesso dimenticava.«Io sono innocente, spero con tutto il cuore che lo siate anche voi». Così disse nell’aula bunker del carcere di Poggioreale dove si svolse il processo di primo grado. Il 17 settembre 1985 fu condannato a dieci anni di carcere. «Un cinico mercante di morte», lo definì il Pubblico ministero Diego Marmo nella sua requisitoria finale. Un trafficante di stupefacenti, uno che aveva lucrato sui soldi raccolti a Portobello, la sua celebre trasmissione, prototipo di ogni format televisivo da allora ad oggi, per i terremotati dell’Irpinia, un vero e proprio affiliato alla Nuova camorra organizzata guidata dal boss Raffaele Cutolo.L’idea di parlare di nuovo di questo scempio compiuto su un galantuomo in uno Speciale del Tg5 (questa sera in seconda serata su Canale 5 col significativo titolo, Quella “giustizia” che uccise un galantuomo), mi è stata data una domenica pomeriggio, all’entrata della bellissima mostra sui Macchiaioli al Chiostro del Bramante a Roma, dall’amica Francesca Scopelliti, l’ultima compagna di Enzo Tortora. Ho proposto al mio direttore Clemente Mimun di occuparcene e la risposta è stata lapidaria: «Fallo».Francesca ha raccolto alcune vecchie lettere che Tortora le scrisse dal carcere di Bergamo. In una afferma che quello che gli stavano facendo era un “delitto di Stato”. Questo intenso scambio epistolare diventerà presto un libro, il titolo suggerito dallo stesso Tortora, “Cento di questi giorni, o forse mia cara sarebbe più giusto dire, mille di questi giorni”.Scorrendo le immagini di repertorio da utilizzare per lo Speciale, ascoltando le vecchie interviste a Tortora di Giorgio Bocca e Federico Bini, guardando le sequenze registrate durante il funerale, a Milano, con tante persone semplici in lacrime, la rabbia e lo sdegno di una signora contro i giornalisti che avevano fatto di Tortora un mostro da gettare in prima pagina, la trattenuta commozione di Franca Rame e di tanti protagonisti dello spettacolo e della tv, mi sono sovvenute alla memoria molteplici sensazioni, ricordando quel periodo così pieno di fatti e tragedie che hanno investito spesso l’Italia. Il terremoto in Irpinia, le Brigate rosse, il rapimento e la liberazione sotto pagamento di un riscatto da parte dello Stato con le Br di Giovanni Senzani e la mediazione di Cutolo e della camorra.Nello Speciale ripropongo anche le immagini in bianco e nero di una bellissima e bravissima Mina che canta facendo ballare i quattro re della tv di allora, Mike Bongiorno, Corrado, Pippo Baudo e Enzo Tortora. «Tortora è stato massacrato, fu uno scempio, Enzo è stato ucciso», mi ha detto Pippo Baudo, ancora oggi dopo tanti anni commosso nel rievocare i suoi primi passi da star della tv proprio con Enzo Tortora, già avviato a una carriera formidabile.Ho incontrato alcuni colleghi che in questi anni hanno seguito la vicenda Tortora: Gianluigi Nuzzi, che a diciassette anni, giovane studente che sognava questo mestiere, frequentava casa Tortora in via dei Piatti, a Milano; Vittorio Pezzuto, scrittore ed ex segretario dei Radicali, autore di un libro inchiesta molto utile, Applausi e Sputi; il collega Valter Vecellio, vecchio militante radicale, che introduce il tema di un possibile movente della macchinazione contro Tortora a causa proprio della trattativa tra Stato e camorra per il rapimento di Cirillo, nel pieno del business miliardario del post terremoto in Irpinia e Basilicata; il direttore di questo giornale Piero Sansonetti, che mette ancora una volta il dito nella piaga purulenta del rapporto tra giornalismo e magistratura; l’avvocato Raffaele Della Valle, del quale rivediamo il pianto liberatorio il giorno in cui Tortora, in appello, fu completamente assolto; Rita Bernardini, storica militante radicale, che ci parla del Tortora politico, dell’intenso rapporto con Marco Pannella, della invenzione da parte dei due di un termine mai attuale come ora, giustizia giusta.Lo Speciale Tg5 si conclude con uno spezzone in bianco e nero, tratto da una puntata di Portobello, protagonisti alcuni bambini di una banda che cercava cappelli da bersagliere.«Io sono innocente - disse Enzo nell’aula bunker rivolgendosi ai giudici del Tribunale - Spero dal profondo del cuore che lo siate anche voi». Molti, troppi, non lo furono.