IL CASO

Sanna Marin è una politica piena di qualità e risorse: giovane, combattiva, informale, aperta alla modernità e ai diritti, una beniamina dei media progressisti che da mesi elogiano il coraggio con cui la premer finlandese fronteggia le minacce di Vladimir Putin. ll gigante russo d’altra parte abbaia alla frontiera, oltre 1300 chilometri, la più estesa tra Mosca e un paese europeo e, dall’invasione dell’Ucraina, le relazioni sono precipitate.

Comprensibile che Marin sia preoccupata, persino che abbia chiesto una rapida adesione di Helsinki alla Nato nonostante le polemiche e gli avvertimenti del Cremlino.

Ora però si spinge decisamente oltre, annunciando la costruzione di un muro lungo il confine con la Russia: «Si tratta di proteggere adeguatamente i confini orientali per il futuro. Questa idea ha un ampio sostegno in Parlamento» ( è favorevole anche l’opposizione di centrodestra) fa sapere Marin, precisando che i lavori per costruire la barriera dureranno circa quattro anni e costeranno allo Stato «diverse centinaia di milioni di euro».

Ma proteggere da chi?

Di certo non dall’armata o dall’aviazione russa che semmai un giorno decidessero di colpire gli odiati vicini, non sarebbero certo ostacolati da una recinzione di filo spinato.

Il muro di Sanna Marin, al contrario, è concepito con lo scopo manifesto di respingere i profughi in fuga dalla Russia. Sotto suggerimento della Guardia di frontiera finlandese che da mesi gestisce un importante flusso di cittadini russi che hanno abbandonato la madre patria.

Come farebbero un Donald Trump o un Viktor Orban qualsiasi Marin se la prende così con l’anello più debole della crisi, i migranti russi. Dietro questa decisione ci sarebbe lo spettro della “guerra ibrida”, ovvero i flussi migratori che sarebbero utilizzati come arma destabilizzante dal governo russo. Uno spettro per l’appunto.

Già dallo scorso settembre Helsinki ha chiuso i suoi confini ai cittadini russi che richiedono un visto perché «mettono a rischio la sicurezza interna». Per il momento rimane aperta una finestra per i dissidenti politici, per gli studenti e per i ricongiungimenti familiari ma con l’aria che tira nei prossimi mesi i parametri saranno più stringenti.

E l’Unione europea, che più di una volta ha criticato le politiche xenofobe e nazionaliste di Ungheria e Polonia?

Nulla, neanche una parola di critica o una richiesta di chiarimento. Respingere un rifugiato afghano, un siriano, un ucraino è giustamente un atto contrario al diritto comunitario e allo spirito solidale con l’Ue spesso si sciacqua la bocca, farlo con un russo no, è atto legittimo se non addirittura auspicabile.