COSTITUZIONALISTA

Matteo Renzi suggeritore di Mattarella? Vediamo. C’era una volta l’ex premier. Adesso, poveromo, deve accontentarsi della sua ombra. Eppure gli esordi lasciavano bene sperare. Al liceo classico Dante di Firenze, dove ha studiato, il suo professore di Storia e Filosofia, Giuseppe Cangemi, uomo di destra e persona perbene, me ne diceva – bontà sua – mirabilia.

Ne apprezzava la parlantina sciolta e il suo stare, con quel suo ego già allora smisurato, al centro dell’attenzione. Insomma, un capo riverito dai suoi compagni di scuola. Solo l’inizio di una irresistibile ascesa. Dopo la laurea in Giurisprudenza con una tesi su La Pira, che a Firenze apre molte porte, dà la scalata al potere. Presidente della Provincia di Firenze, sindaco della città gigliata, segretario del Pd. Infine, presidente del Consiglio, il più giovane nella storia d’Italia, dopo aver rassicurato Enrico Letta, suo predecessore, a stare tranquillo. Non era parlamentare, come non lo è l’amico- nemico Giuseppe Conte. E resta in sella per poco meno di un triennio, quarto nella classifica ministeriale per durata. Il suo capolavoro è quel 40 e passa per cento raggiunto dal suo Pd alle elezioni europee. Un’ascesa, fatto più unico che raro, senza dovere dire grazie a nessuno. Senza mai essere stato con il cappello in mano.

La sua parabola può essere rappresentata dal chapeau de gendarme. Sale sale, tocca il picco con il successo eletttorale e poi, a poco a poco, una rovinosa discesa fino a quel 3 per cento al quale il suo partitino è condannato nei sondaggi. Ma una prima caduta Renzi la riporta in occasione delle elezioni presidenziali del 2015. Scarta Giuliano Amato, timoroso che gli faccia ombra. E opta per Sergio Mattarella, magari nell’illusione di fare il bello e il cattivo tempo sul Colle per interposta persona. Lo stesso imperdonabile errore commesso da Ciriaco De Mita con Francesco Cossiga, con l’aggravante che il suo vero candidato era Leopoldo Elia. Del resto, Rosetta Jervolino vide giusto. Mi disse che Renzi aveva puntato sull’attuale capo dello Stato perché non lo conosceva. Ma Renzi perseverò nell’errore. Perché nella crisi di governo a seguito del capitombolo referendario sulla sua riforma costituzionale, si azzardò a fare consultazioni parallele a quelle di Mattarella. E poi non ne perdonò una al suo successore. Con il risultato che Paolo Gentiloni, la quiete dopo la tempesta renziana, fu salutato come uno statista.

La verità è che da quando è rotolato nella polvere, neppure fosse Napoleone, Renzi non ne indovina una. Abbandona il Pd per fondare un partito piccino picciò sotto il 4 per cento. Dice e si contraddice di continuo. Sarà pure un tattico sopraffino ma la strategia non sa proprio dove stia di casa. Minac- cia sfracelli, fa la faccia feroce ed è sempre lì lì sul punto di avviare una crisi ministeriale in piena regola.

Ma poi torna sui propri passi e rimanda gli sfracelli alle calende greche. E anche stavolta non si è smentito. Dice che le “sue” ministre sono pronte a rassegnare il mandato, pone condizioni pressoché impossibili al fine di mandare tutto quanto all’aria, baracca e burattini, ma poi allunga il brodo della verifica all’infinito per tenere sulle corde il presidente del Consiglio pro tempore. Per un po’ i partiti della maggioranza, sempre più preoccupati del potere accumulato via via da Conte anche grazie al Coronavirus, hanno usato Renzi allo scopo di mettere sulla graticola l’inquilino di Palazzo Chigi. Ma adesso diffidano sempre più del senatore di Scandicci. Temendo che si immedesimi in Pietro Micca o in Sansone, pronto a immolarsi con tutti i filistei. Ma si sono fatti i conti senza quell’oste che si chiama Giuseppe Conte. Il quale potrebbe concedersi il bis dell’agosto dell’anno scorso, quando al Senato infilzò come un pollo Salvini. Potrebbe dimettersi anche questa volta. O per andare alle elezioni, magari con un proprio partito o cavalcando i pentastellati, o per farsi rinviare alle Camere da Mattarella per verificare la sussistenza o meno della fiducia parlamentare.

In ogni caso Matteuccio rimarrebbe a bocca asciutta. O uscirebbe per sempre di scena o sarebbe costretto a passare all’opposizione qualora non intendesse accucciarsi. Peraltro, è infondata la sua certezza che in caso di crisi di governo non ci sarebbero elezioni anticipate. Perché Mattarella ha dichiarato a più riprese che quello in carica è l’ultimo governo della legislatura in quanto sono state esperite tutte le coalizioni possibili. Di centrodestra e di centrosinistra. Ma Renzi si appella alla Costituzione e osserva che «se c’è una maggioranza si vede in Parlamento». Pretende, l’ombra di Renzi, di impartire lezioni di diritto costituzionale a Mattarella. Contrario a maggioranze raccogliticce, quale che ne siano i colori, in un momento drammatico come questo.

Se non si andrà alle elezioni al più presto in caso di crisi, prepariamoci al peggio. Perché il prossimo 3 agosto inizierà il semestre bianco, Mattarella non sarà più in grado di sciogliere le Camere e potrà capitare di tutto. Davanti agli occhi di un’Europa che ci guarderà smarrita. Perciò ha pienamente ragione un costituzionalista autorevole e accorto come il deputato del Pd Stefano Ceccanti nell’auspicare che il suddetto semestre sia cancellato dalla Costituzione. Come suggeriva Antonio Segni nel suo messaggio alle Camere del 17 settembre 1963.