Nel corso di questa legislatura sono state varate alcune riforme vere e importanti. Se le giudichiamo con le vecchie lenti della politica, scopriamo che alcune sono di destra ( ad esempio, probabilmente, il Jobs Act) alcune di sinistra ( come gli ottanta euro, il reddito di inclusione, l’Ape sociale), altre sono riforme “trasversali”, ispirate a principi di civiltà, come la legge sul “dopo di noi”, le unioni civili, le intercettazioni e la legge recente sull’equo compenso della quale abbiamo scritto molto su questo giornale ( accompagnata dal provvedimento che riconosce alle avvocate il diritto al legittimo impedimento in gravidanza).

Però se ne dovessimo scegliere una, tra tutte le riforme di questi cinque anni, sceglieremmo la riforma dell’ordinamento penitenziario.

È una riforma che è stata approvata quasi in silenzio, e probabilmente non si poteva fare altrimenti, perché rischiava di essere affossata dalla stampa, o dall’opposizione gridata dei populisti. È una riforma moplto importante e radicale, perchè indica il modo nel quale agire per rendere il carecre più civile e vivibile, e riduce sensibilmente il numero dei detenuti, aumentando lo spettro delle pene alternative, specialmente per i reati minori.

La riforma del carcere è stata approvata dal Consiglio dei ministri nella sua ultima seduta, prima di natale. Però, come spiega Damiano Aliprandi nell’articolo a pagina 14, questa riforma rischia ora di restare lettera morta, per ragioni, diciamo così, burocratiche. Mancano due decereti che tocca al governo emanare e poi manca il parere ( seppure non vincolante, ma obbligatorio) delle commissioni parlamentari. E se in questo clima di campgana elettorale succedesse, o per ragioni casuali o magari per calcolo, che le riniuioni delle commissioni e del governo fossero spostate, rinviate, dimenticate... la riforma andrebbe a fondo e morirebbe con la legislatura. Lasciando davvero pochissime probabilità di essere rianimata nella futura legislatura.

È per questa ragione che Rita Bernardini, vecchia e battagliera militante radicale, allieva prediletta di Marco Pannella, ha ripreso lo sciopero della fame. Vedete, in politica non sempre tutto è uguale: ci sono dei dirigenti politici ai quali piace solo andare sulla “Sette”, gridare un po’, insolentire gli avversari, e proporre o promettere cose impossibili senza avere la minima idea di come relizzarle. E ci sono invece dei dirigenti politici che considerano ancora la politica una “attività di lotta”, da condurre seguendo dei principi e agendo concretamente per delle idee precise, chiare e realizzabili. Ecco, a me pare che Rita Bernardini appartenga a questa seconda categoria.

La riforma carceraria non è un fiore all’occhiello. Nè per i radicali, né per il Pd, né per il governo. È un passo importante di avanzamento civile di questo paese. Non porterà un voto, state tranquilli: però è un provvedimento decisivo per la difesa e per lo sviluppo dello Stato di diritto. Vale molto di più della riforma di una legge elettorale, o di un provvedimento per allungare magari la prescirizione, o di una legge per aumentare le pene per gli incidenti stradali, o per la corruzione, o per l’autoriciclaggio. Sarebbe un vero delitto lasciarla cadere. In Parlamento ci sono forze politiche sia di centrodestra che di centrosinistra che su questi temi hanno le idee chiare. Non si facciano travolgere dalla campagna elettorale. Non facciano calcoli piccoli piccoli. Non si può fare politica lasciando che le esigenze elettorali travolgano i principi. Magari, sì, si guadagna qualche voto, oggi: però si perde la propria funzione nazionale.