Anche sul fronte settentrionale, dove si intende neutralizzare la capacità offensiva di Hezbollah, Israele attua una dottrina politica e militare molto chiara: continuare ad esistere e combattere chi vuole la sua distruzione. Lo scenario nel Sud del Libano, rispetto a Gaza, è diverso, come evidenzia Claudio Bertolotti, direttore di Start In-Sight, ricercatore Ispi e autore del libro “Gaza underground: la guerra sotterranea e urbana tra Israele e Hamas”.
Dottor Bertolotti, sradicare Hezbollah è il nuovo imperativo categorico di Israele?
Credo ci siano due obiettivi, uno prioritario e uno complementare. Quello prioritario, nel breve periodo, consiste nel limitare la minaccia rappresentata da Hezbollah nella sua capacità di offendere e minacciare la popolazione israeliana. In questo modo si potrà consentire alla popolazione israeliana, che è stata sfollata dai territori al confine con il Libano, di poter rientrare in sicurezza. Il secondo obiettivo invece si sposta più sul medio-lungo periodo ed è volto a ridimensionare la capacità militare di Hezbollah in termini di comando e controllo, cioè impedire alla leadership di dare ordini alla base, il che, di fatto, ridurrebbe la natura militare di Hezbollah, limitandola a una sopravvivenza di tipo politico.
La resistenza del “Partito di Dio” sarà maggiore rispetto a quella di Hamas sulla Striscia di Gaza?
La capacità di Hezbollah è superiore a quella di Hamas. Allo stesso tempo Hezbollah ha una sostanziale incapacità di infliggere danni come quelli che sono stati portati a compimento da Hamas il 7 ottobre di un anno fa. È cambiato lo scenario, l’attenzione sui confini è molto più alta rispetto a quanto non lo fosse precedentemente al 7 ottobre 2023 e poi perché Hezbollah non ha la capacità di gestire una guerra terrestre, pur avendo il secondo esercito di fanteria leggera più forte di tutto il Medio Oriente con un’esperienza di guerra pluriennale in Siria. Pertanto, l’unica minaccia che può mettere in campo è il lancio di razzi.
Il Sud del Libano, con le città di Tiro e Sidone, andrà incontro allo stesso destino di Gaza, nel caso in cui Israele decidesse di entrare nel "Paese dei cedri"?
Al momento non è altamente probabile un intervento terrestre israeliano. Potremmo avere sentore di questa iniziativa eventualmente con l’avvio di una campagna aerea e, a seconda dei risultati, Israele potrebbe decidere di attaccare Hezbollah e non il Libano. Spesso ci si concentra sul Libano e si afferma che Israele attacca il Libano. Non è così: in realtà Israele attacca Hezbollah, che, di fatto, è diventato padrone incontrastato di un’ampia area territoriale al confine con Israele.

Hezbollah governa, fornendo anche servizi sociali, e rappresenta un riferimento istituzionale per le popolazioni locali in un territorio al di fuori del controllo del governo e delle istituzioni statali libanesi. Per cui, tornando alla sua domanda, non credo che potrebbe verificarsi uno scenario simile a quello di Gaza. Cambia intanto la natura del territorio. In Libano la densità della popolazione non è quella che c’è sulla Striscia di Gaza, così come è differente la struttura delle aree urbane.
Sulla “Blue Line”, al confine tra Libano e Israele, opera il contingente Unifil con oltre 1.200 soldati italiani. I caschi blu sono in pericolo?
In questo momento sono state adottate tutte le precauzioni necessarie per garantire una cornice di sicurezza adeguata. Israele ha tutto l’interesse a tutelare, evitando qualunque tipo di coinvolgimento anche indiretto, il contingente internazionale. Lo stesso vale per Hezbollah, che non ha intenzione di creare una cornice di insicurezza perché Unifil rappresenta anche una garanzia nel caso in cui prendesse corpo l’ipotesi di un’invasione terrestre da parte di Israele. Aggiungo che se venissero a mancare le condizioni per poter portare avanti la missione e il mandato di Unifil, la stessa missione verrebbe ritirata. Le truppe Unifil sono equipaggiate per condurre un’operazione di interposizione tra le parti, non per condurre un’operazione di guerra, né offensiva né difensiva.
Il messaggio lanciato da Israele alla comunità internazionale è molto chiaro. La sicurezza dello Stato di Israele è un valore imprescindibile e chi lo mette a rischio se ne assume le responsabilità. Cosa ne pensa?
Israele ha perfettamente ragione. Questo è il pensiero cardine della visione politica, ma anche della dottrina militare israeliana. Tutto viene fatto in un’ottica di sopravvivenza, perché quello che viene messo a repentaglio, l’idea stessa di esistenza, è una minaccia diretta allo Stato di Israele. La dottrina militare che si è sviluppata sulla base di questo concetto strategico si basa proprio sull’azione anche preventiva anche al di fuori dei confini nazionali per contenere e contrastare una minaccia all’esistenza dello Stato d’Israele.
Si rincorrono le voci sulla morte del nuovo capo di Hamas, Yahya Sinwar. Morto un leader, se ne fa un altro?
Yahya Asimwar è soprannominato dagli israeliani “il gatto dalle nove vite”. Sulla morte effettiva attenderei una conferma ufficiale da parte di Israele o comunque da parte di Hamas, se lo vorrà dichiarare. È indubbio che con la dipartita di un leader c’è sempre un momento di confusione, ma data la situazione di conflitto perdurante i numeri due sono già definiti e sanno che potrebbero essere in tempi brevi chiamati a dirigere e coordinare il movimento.