Ieri la Commissione Giustizia del Senato ha approvato il parere al decreto legislativo sulla riforma dell’ordinamento giudiziario, a firma del relatore Pierantonio Zanettin ( Forza Italia), sulla possibilità di prevedere l’introduzione di test psicoattitudinali per i magistrati. Un tema che ritorna nuovamente d’attualità, ma che in passato ha animato a lungo il dibattito politico e parlamentare. L’avvocato Gaetano Pecorella è stato presidente della Commissione Giustizia della Camera dal 2001 al 2006. Una ventina di anni fa il Parlamento si occupò già della possibilità di introdurre gli ormai famosi test per le toghe della magistratura.

Avvocato Pecorella, le valutazioni psicoattitudinali per i magistrati sono un cavallo di battaglia del centrodestra ieri come oggi?

Ai tempi in cui ero presidente della Commissione Giustizia nella riforma dell'ordinamento giudiziario avevamo previsto una norma specifica che sottoponeva al test psicoattitudinale i candidati a diventare magistrati. Ad ispirare la norma fu il lavoro di chi, con le proprie decisioni, con i propri interventi, può incidere sulla vita degli altri, per cui deve avere le doti non solo di natura tecnica, ma anche di natura umana, di equilibrio. Qualche volta nella nostra esperienza professionale è accaduto di riscontrare che un buon magistrato dal punto di vista tecnico non aveva nessun senso della realtà o dell’umanità. Da qui l’introduzione della norma sui test psicoattitudinali. La norma degli anni passati, però, rimase in vigore pochissimo tempo. Le cose cambiarono quando subentrò un governo di centrosinistra, con il ministro della Giustizia Clemente Mastella, che intervenne immediatamente e la abrogò. Ma è lo stesso rimasta nelle intenzioni e nella cultura di una parte politica. La nostra tesi, in termini molto evidenti, era che se un pilota d’aereo può uccidere duecento persone, un magistrato in tutta la vita ne può distruggere molte di più. Quindi, l’equilibrio richiesto al magistrato deve essere oggetto di verifica.

La verifica di certi requisiti è un ostacolo non di poco conto?

Certamente. Si tratta di una verifica tutt’altro che facile e bisogna stare molto attenti, ad esempio, rispetto ai quesiti che devono essere posti ed evitare che la loro interpretazione porti ad una selezione di natura ideologica. Ritengo, comunque, che sia assolutamente necessaria questa riforma a cui sta lavorando il Parlamento.

Se un aspirante magistrato ha delle particolari caratteristiche psicologiche e attitudinali che lo farebbero ritenere incompatibile con il ruolo che andrebbe a ricoprire, che cosa potrebbe succedere?

Si tratterà di decidere se i test devono essere effettuati per l’ammissione al concorso. Mi pare inutile accedere al concorso se mancano le caratteristiche psicologiche, psicotecniche per fare il magistrato. Sono tutti elementi che vanno presi in considerazione una volta che è stato deciso che senza test psicoattitudinale si possono ammettere a fare il magistrato persone assolutamente inidonee ad una attività così delicata dal punto di vista dei rapporti umani. Non dimentichiamoci che ogni imputato è un uomo che viene giudicato da un altro uomo e quest’altro uomo deve avere qualità altissime in termini di capacità e di equilibrio. Non sono mancati casi clamorosi. A Milano, molti anni fa, ci fu un magistrato che istruiva i processi a carico di ignoti e che diceva che quando sarebbero stati trovati i responsabili di determinati reati il processo era stato già fatto e si poteva applicare la sentenza. Ribadisco quindi che se ci difendiamo da coloro che non sono adatti a pilotare un aereo o a condurre un treno, non vedo perché non dobbiamo difenderci da coloro che non sono adatti a giudicare il prossimo.

Nel 2003, quando lei presiedeva la Commissione Giustizia, il parlamentare del Pd Elvio Fassone, un magistrato, si espresse a favore dei test psicoattitudinali. Una scelta che gli sbarrò la strada in politica. Certi temi a sinistra rimangono un tabù?

Ad essere sincero non ricordo in particolare la posizione del dottor Fassone. Posso dire che è stato uno dei magistrati più attenti alla dimensione umana del processo. Una posizione ribadita in più occasioni, in svariate pubblicazioni e anche in un bellissimo libro. Il processo penale non è una commedia o un dramma, è fatto da uomini in carne ed ossa che alla fine si ritrovano. Il mio pensiero va ad alcune condanne, anche all’ergastolo, di persone che successivamente è stato dimostrato essere innocenti. In casi del genere ci troviamo di fronte non ad un limite tecnico, ma ad un limite umano consistente nella considerazione di alcuni aspetti della vita e della personalità dell’imputato non sufficientemente valutati e garantiti.

La proposta di inserire i test psicoattitudinali riprende un’idea che i più critici considerano di ispirazione “berlusconiana”. È utile rivangare alcuni temi del passato? Cosa ne pensa?

La legge sui test psicoattitudinali ebbe come relatore un magistrato e seguì un percorso indipendente rispetto ai procedimenti all’epoca in corso a carico del presidente Berlusconi, dove la questione della idoneità a giudicare e dell’umanità a giudicare erano gli ultimi problemi. Se noi dobbiamo escludere delle leggi buone soltanto perché furono pensate e approvate sotto il governo Berlusconi daremmo segno di poca intelligenza e di poca elasticità mentale. E se queste fossero le opposizioni sarebbe una prova ulteriore della utilità e della bontà dei test psicoattitudinali. Ci troveremmo di fronte ad un pregiudizio che prescinde dalla realtà e dalla bontà o meno di una determinata proposta di legge.

Lei è particolarmente sensibile al tema delle carceri. La situazione, anche in riferimento al numero dei suicidi, continua ad essere molto critica. Cosa ne pensa?

Siamo di fronte ad uno dei punti della Costituzione che non solo non è stato attuato, ma viene quotidianamente violato. Il carcere dovrebbe tendere alla rieducazione del condannato o comunque a prepararlo all’ingresso nella società per trovare un lavoro e tornare a vivere una vita normale. Questo non solo non accade, ma si verifica esattamente il contrario. La presenza di molti detenuti in un piccolo spazio materiale, come sono le celle, la mancanza di attività lavorativa, la mancanza di assistenza psicologica sono tutti fattori che portano ai suicidi. Non voglio essere retorico, ma credo che per ogni suicidio dovremmo sentirci in qualche misura coinvolti anche noi, colpevoli anche noi.