Quella decretata ieri dal Consiglio di Stato sulla fecondazione eterologa è una sonora bocciatura del proibizionismo della politica. La Regione Lombardia, e il suo presidente Roberto Maroni, hanno scelto di perseverare in una battaglia legale contro i diritti dei cittadini, e hanno perso. «La determinazione regionale di distinguere la fecondazione omologa da quella eterologa, finanziando la prima e ponendo a carico degli assistiti la seconda, non risulta giustificata» e «realizza una disparità di trattamento lesivo del diritto alla salute delle coppie affette da sterilità o da infertilità assolute», hanno scritto con chiarezza i giudici, ponendo fine così a un’odiosa discriminazione tra persone affette da patologie, che violava in un sol colpo ben due articoli della Costituzione: l’articolo 32 sull’accesso alle cure e l’articolo 3, che sancisce il principio di uguaglianza.Rendere l’accesso alla fecondazione eterologa più costoso, ai limiti del proibitivo, rispetto a quella omologa è solo l’ennesimo tentativo di difendere e perpetuare sul piano ideologico divieti che su quello giuridico non esistono più, perché cancellati da 33 sentenze di tribunale e due giudizi della Corte Costituzionale che in questi 12 anni hanno smantellato la legge 40. Ecco perché la sentenza del Consiglio di Stato, che ha confermato quella del Tar della Lombardia, non ci sorprende.E se è legittimo esprimere soddisfazione davanti all’affermazione dei diritti dei cittadini, non si può non prendere atto di quella che è l’ennesima sconfitta della politica, che ancora una volta ha rinunciato al proprio ruolo di garante degli interessi di tutti, al suo compito di ampliare e tutelare con le leggi le libertà e i diritti, lasciando così ai giudici questa responsabilità.Ogni giorno in Italia i cittadini si trovano a lottare, e noi dell’Associazione Luca Coscioni al loro fianco, per rivendicare diritti calpestati da istituzioni che non applicano le leggi, le applicano in modo parziale, oppure seminano ostacoli di natura ideologica - come nel caso della Lombardia - causando differenze e discriminazioni nel Paese.È quello che accade proprio per l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita.Come abbiamo dimostrato anche con la videoinchiesta "Il seme della discordia" - realizzata per l’Associazione Coscioni da FaiNotizia, il format di inchieste partecipative di Radio Radicale - a due anni dalla sentenza della Corte Costituzionale che ha cancellato il divieto di fecondazione eterologa, l’applicazione di questa tecnica nel pubblico è pressoché nulla. Tra ostacoli burocratici, mancanza di donatori e resistenze politiche, il ricorso all’eterologa in Italia resta, ad oggi, ancora un diritto per pochi. E le differenze da regione a regione sono enormi.La prima ad aver tentato di dare risposte alle coppie sterili, prevedendo l’accesso nel pubblico, è stata la Toscana. Poi, nel 2014 la Conferenza delle regioni ha emanato un documento per consentire l’accesso pubblico dietro pagamento di un ticket che ciascuna regione, in base alle proprie risorse, avrebbe dovuto stabilire. Purtroppo nello stesso documento è stato introdotto per la donna il limite di età di 43 anni, in contrasto con la legge 40 che parla di «età potenzialmente fertile» e quindi diversa da persona e persona. Ecco perché abbiamo deciso di assistere una coppia nel ricorso al Tar del Veneto contro questo limite e abbiamo vinto.Se in Italia vige in generale una forma di federalismo sanitario, nel caso della fecondazione le differenze sono dunque ancora più forti. Al sud le strutture pubbliche sono pochissime: in Basilicata e in Calabria ci sono soltanto un centro pubblico e uno privato, col risultato che tantissime coppie sono costrette a rivolgersi ad altre regioni. La Regione Campania ha bloccato i rimborsi per le coppie che vanno a curarsi altrove, senza aver neppure recepito le linee guida sull’eterologa della Conferenza delle Regioni, motivo per cui abbiamo deciso di diffidare l’amministrazione regionale. Così come abbiamo diffidato la Regione Lazio, che ha limitato l’accesso ai farmaci per la fecondazione escludendo molti centri dalla lista di strutture autorizzate a prescriverli. Inserire la fecondazione eterologa nei nuovi Livelli essenziali di assistenza, come annunciato dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin, è il primo passo verso una parità di accesso a queste tecniche. Ma perché siano davvero garantiti i diritti delle coppie che non riescono ad avere figli è necessario vigilare sull’operato delle regioni che dovranno adeguare i Lea, rispettare quanto scritto nella legge 40 - che demanda al medico la verifica di età potenzialmente fertile - prevedere più strutture che a carico della sanità pubblica eroghino tutte le tecniche di Pma, senza le lunghe liste di attesa, che invece ci sono, anche convenzionando come per le altre patologie i privati.Questo significa rimuovere gli ostacoli all’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, rispettare quello che l’Europa ci chiede in materia di futuro demografico e i principi fondamentali della Carta costituzionale, cioè: uguaglianza, accesso alle cure, autodeterminazione, rispetto delle libertà individuali.*Segretario dell’Ass. Luca Coscioni, soggetto costituente del Partito Radicale