di MASSIMILIANO IERVOLINO E SILVJA MANZI

La guerra nel cuore dell’Europa che da oltre 4 mesi occupa i nostri discorsi, le trasmissioni tv, le pagine dei giornali, i post sui social, per molti – analisti compresi – è stato un fulmine a ciel sereno. Non si poteva credere che Vladimir Putin avrebbe sferrato un attacco così clamoroso e feroce. Incredibile, perché, al contrario, ogni passo del tiranno russo portava esattamente dove siamo. Sarebbe bastato leggere le sue azioni senza le lenti della realpolitik e leggerle avrebbe, anche, significato poterla evitare questa guerra. Era, infatti, tutto scritto.

Oggi i libri di Anna Politkovskaja sono in cima alle classifiche di vendita. Forse leggerli all’epoca in cui furono scritti sarebbe stata una scelta saggia. Parlava, Politkovskaja, di Cecenia, della guerra che l’aveva distrutta e di come Putin, grazie a quella guerra, aveva costruito la sua fortuna politica. Parlava, Politkovskaja, di come Putin stava parallelamente costruendo un regime letteralmente fascista. Lo denunciava, inascoltata ( salvo radicali eccezioni). E per questo venne uccisa. Guarda caso nel giorno del compleanno di Putin. E siccome l’occidente democratico non voleva vedere, l’unico politico occidentale a recarsi al suo funerale fu Marco Pannella che, con i radicali, aveva visto e previsto.

La Cecenia è la chiave per capire come Putin ragiona e si muove, lo scopo delle sue azioni – per rafforzare il suo potere tanto all’interno quanto sulla scena internazionale – e il metodo con cui le ha portate avanti. Come si sa, nel 2001 l’attacco alle Torri Gemelle aveva portato a una lotta internazionale contro il terrorismo, e Putin aveva immediatamente colto la palla al balzo. I ceceni erano tutti terroristi e per questo andavano distrutti. In un ribaltamento della realtà analogo a quello che oggi dipinge gli ucraini come nazisti. Nella sua personale campagna contro i “terroristi” ceceni, Putin aveva ottenuto il sostegno dei Paesi “civili”, che si era tradotto nel silenzio. Il silenzio rispetto alle sue azioni palesemente criminali. «Perseguiteremo dappertutto terroristi, e quando li troveremo… li butteremo dritti nella tazza del cesso».

Questo diceva Putin e questo ha pervicacemente perseguito. La Cecenia è stata il suo banco di prova. Tutto quello che ha fatto allora l’ha riproposto, esattamente negli stessi termini criminali, in Georgia, in Siria, nel Donbass prima e ora in tutta l’Ucraina. Sempre la stessa strategia, sempre le stesse modalità. Stupri, fosse comuni, uccisioni a bruciapelo, obiettivi civili, distruzione totale di città. La Cecenia è stato un Paese raso al suolo e la sua leadership – l’ultima riconosciuta dalla comunità internazionale – sostituita da un governo fantoccio e tirannico. Noi radicali abbiamo, in quegli anni, imbastito una lunga e solitaria campagna per sostenere il piano di pace elaborato dal governo ceceno in esilio, che chiedeva un’amministrazione controllata delle Nazioni Unite; dicevamo che se si fosse lasciata la Cecenia al destino impostole da Putin il problema del terrorismo sarebbe esploso e non risolto. Abbiamo, allora, sollecitato tutte le cancellerie europee; organizzato conferenze di membri del governo in esilio ( in particolare Umar Khanbiev, iscritto e dirigente del Partito Radicale); fatto intervenire alla Commissione Onu Diritti umani il parlamentare ceceno Akhyad Idigov, che portava testimonianze precise dei crimini perpetrati dai russi (e per questo la Russia chiese, perdendo, l’espulsione del Partito Radicale dal Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite); organizzato manifestazioni, scioperi della fame iniziative parlamentari… ma i ceceni erano “terroristi” e se Putin li avesse schiacciati sarebbe stato un prezzo giusto da pagare. Il prezzo di quel cinismo sono stati 100.000 morti e la creazione di un vero e proprio laboratorio di un terrorismo da esportazione.

Di quell’ultimo gruppo dirigente ceceno democratico oggi è ancora attivo – e naturalmente sempre in esilio – Akhmed Zakayev, primo ministro della non riconosciuta Repubblica Cecena di Ichkeria, e in questa veste è stato invitato in Italia da Radicali Italiani. Intervistato anche dal Dubbio, Zakayev ha incontrato alla Farnesina il sottosegretario agli Affari Esteri Benedetto Della Vedova, ha partecipato a una conferenza alla Camera, ha incontrato numerosi giornalisti. Zakayev ha oggi ricevuto un’attenzione a cui venti anni fa non siamo mai riusciti nemmeno lontanamente ad arrivare. È stato possibile per via della guerra sferrata da Putin all’Ucraina. Perché oggi non è più possibile voltarsi dall’altra parte e anche i ceceni sono diventati degli interlocutori credibili.

Per sostenere la lotta di liberazione ucraina i ceceni di Zakayev stanno portando avanti un’iniziativa per l’incriminazione di Putin alla Corte Penale internazionale anche per i crimini commessi in Cecenia. Il nostro appello “Putin all’Aja” ( che si può firmare su www. radicali.it) va in questa direzione: Putin va al più presto incriminato e giudicato per i crimini commessi in ogni luogo dove ha portato terrore e morte. Non può esserci nessuna soluzione del conflitto senza riconoscerne giuridicamente le responsabilità. La pace per l’Ucraina arriva necessariamente da questo passaggio. E con la pace dell’Ucraina può, finalmente, arrivare pace anche per la Cecenia. (*SEGRETARIO E MEMBRO DIREZIONE DI RADICALI ITALIANI)