CLAMOROSO RIBALTONE AL PROCESSO D’APPELLO DI PERUGIA

Per la Corte d’Appello di Perugia, quello di Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua, nel 2013, non fu un sequestro di persona. Dopo quasi dieci ore di camera di consiglio, il collegio ha assolto tutti gli imputati e rovesciato così il verdetto di primo grado. L’UCPI FESTEGGIA I PRIMI 40 ANNI DELLA PROPRIA STORIA

Conoscere il passato per capire il presente e orientare il futuro. Risale al quinto secolo avanti Cristo l’insegnamento di Tucidide, ma non ha perduto neanche una particella della sua forza ed attualità. In questa consapevolezza, l’Ucpi ha deciso di festeggiare i primi quarant’anni della sua storia nello spazio dell’Open day, con felice intuizione dedicato ai più giovani e giunto ormai alla sua sesta edizione. Nel corso della manifestazione riminese di oggi e domani si rievocheranno decenni di impegno per il diritto penale liberale e il giusto processo, che hanno visto crescere e affermarsi in misura ormai irreversibile la soggettività politica dell’associazione dei penalisti italiani.

Una soggettività che trae la sua origine e si sviluppa in un nesso inscindibile con la battaglia per il rito accusatorio: per la sua approvazione, prima; per la sua difesa dagli attacchi mai sopiti dei nostalgici dell’inquisitorio, poi. La lente di un grande storico del diritto, Italo Mereu, evidenziava già nel 1987 - come il progettato Codice accusatorio avrebbe fatto acquistare alla difesa una funzione istituzionale, propiziando ragioni di “coesione nell’esercizio di una professione le cui caratteristiche postulano la concorrenza”. Nel nuovo processo, l’avvocato avrebbe dovuto assolvere a una “precisa funzione sociale e politica”, elevando la professione dallo “stretto campo del mestiere del causidico, che per prosperare deve andare d’accordo con il potere”. La nuova legislazione processuale, per la cui approvazione la neonata Ucpi si prodigava con ogni mezzo, ivi compreso lo sciopero dalle udienze, avrebbe valorizzato “un’autonomia e una dignità professionali finora mai esistite nella nostra cultura giuridica, politica, sociale”. Mereu vedeva in quello sforzo degli avvocati l’acquisizione della “consapevolezza di essere titolari di valori istituzionali fondamentali”; l’evoluzione da “sudditi a comproprietari” del processo penale.

In effetti, la cifra che fin dal primo vagito ha contraddistinto la nostra associazione è stata quella di rifuggire da pur legittime impostazioni corporativo- sindacali e di farsi portavoce della cultura delle garanzie e delle libertà dei cittadini, elevandosi a loro presidio. In uno scritto di poco successivo, fu ancora Mereu a fornire questo resoconto del III Congresso nazionale Ucpi, tenutosi - per coincidenza - proprio a Rimini nell’aprile 1990: “Si è chiesta, anzitutto, la pari dignità nella partecipazione alla commissione di revisione e adattamento del nuovo codice”. Una rivendicazione giudicata più che legittima “pensando che alla fase della redazione gli avvocati parteciparono con un solo rappresentante. E non si dica che la categoria era comunque ben rappresentata dai professori universitari iscritti all’albo, perché si darebbe ad intendere che gli avvocati - come minus habentes - hanno bisogno di altri che li rappresentino”. La seconda richiesta del congresso dei penalisti riguardava “la divisione della carriera inquirente da quella giudicante”, per realizzare la parità delle parti dinanzi al giudice ed eliminare lo squilibrio in favore del pubblico ministero.

Infine, fu denunciato “lo straripamento istituzionale della corporazione dei magistrati, che da sempre occupa tutti i posti direttivi del ministero della Giustizia”.

Sbaglierebbe chi, sentendo replicare temi e obiettivi ancor oggi al centro dell’iniziativa politica dell’Unione, liquidasse come un insuccesso quarant’anni di impegno. Quelle che un tempo suonavano eresie, costituiscono al momento attuale questioni vivacemente dibattute in sede politica e anche all’interno di una magistratura resa meno monolitica dalla drammatica perdita di credibilità che l’ha investita. L’irresponsabilità corporativa che si è nascosta dietro l’usbergo dell’indipendenza è stata smascherata anche grazie alla paziente e tenace azione dei penalisti italiani. Come dimenticare, poi, la storica conquista della novella dell’art. 111 Cost., con l’esplicita affermazione del principio di legalità processuale ed il recepimento della regola aurea del contraddittorio? Un muro contro il quale sono andati ad infrangersi gli ulteriori tentativi di ottenere dalla Corte costituzionale decisioni demolitive dei pilastri del rito accusatorio. O quella che, riconoscendo dignità alle investigazioni difensive, ha potenziato gli strumenti a beneficio degli indagati? Ingeneroso sarebbe anche trascurare di considerare quelle battaglie che, sinora, hanno impedito - in un clima di imperante populismo penale e giudiziario - pericolose regressioni limitative dei diritti della difesa.

È tenendosi stretta all’albero maestro del diritto penale liberale, e ai suoi principi da trasmettere ai più giovani, che l’Ucpi in queste giornate riminesi deve guardare al futuro. Riflettere sulla propria storia non sarà certo un Amarcord.

* Responsabile Centro studi Aldo Marongiu dell'Unione Camere Penali