Così Matteo Renzi si è ripreso la scena: ha parlato per terzo, subito dopo il premier Giuseppe Conte e il ministro Matteo Salvini, che proprio in Renzi ha individuato il proprio nemico e dopo il suo intervento ha lasciato l'aula insieme a tutti i senatori leghisti. Nel suo intervento - a crisi già formalmente aperta dal presidente del consiglio Renzi ha voluto ribadire come «il governo ha fallito» ma ha offerto a Conte l'onore delle armi, sottolineando che «abbiamo apprezzato le sue parole sullo stile istituzionale. Ma avremmo preferito che le avesse pronunciate prima». Parole certamente non dure nei confronti del premier, che lui stesso nei giorni scorsi aveva tacciato di inconsistenza, e che potrebbero nascondere una non completa chiusura ad un futuro ruolo di Conte.

Ha poi sfidato apertamente Matteo Salvini, che più volte lo ha citato nel suo intervento, ricordandogli come «ha fatto il governo con il 17% non con il 51, ma questo governo ha fallito anche per sua responsabilità. Prima lo ammettete e prima si può voltare pagina» e aggiungendo di essere pronto a scontrarsi con lui «A Bibbiano o Arezzo, la sfido dove vuole ma non giochi sulla pelle degli italiani». Infine, ha aggiunto che, comunque finisca la crisi, Salvini ha il dovere di fare «chiarezza sulla Russia, quereli Savoini perché non può esistere democrazia occidentale nella quale c’è il sospetto della più grande tangente mai chiesta da chi lavorava con lei».

Così, infine, ha aperto all’ipotesi di un futuro governo. Ipotesi assoltutamente inaggirabile, secondo Renzi, che ha ammesso come anche nel suo partito ci siano scetticismi in proposito ma ha messo in guardia, «da ex presidente del Consiglio», davanti ai segnali di crisi economica anticipati dall’incrinarsi della situazione tedesca. «Siamo felici che l’esperienza populista finisca, daremo il nostro contributo perché a pagare per la vostra crisi non siano le famiglie e i consumatori», ha chiarito, ribadendo come i risultati economici del governo siano stati «disastrosi». Di più, ha aggiunto che un nuovo governo «non è un colpo di Stato» ( come ha detto Salvini), ma «ma aprire una crisi è un colpo di sole».

Proprio per favorire la creazione di un possibile nuovo esecutivo che traghetti il paese lontano dalla crisi, con una legge di Bilancio da approvare secondo scadenza e rispettando le regole europee, ha chiarito - riferendosi ai 5 Stelle - che «non so se voteremo un governo insieme. Ove questo avvenisse, di questo governo io non ne farò parte in modo orgoglioso. Un passo di lato, quello di Renzi, il quale però non rinuncia affatto alla regia dell’operazione politica.

«Sarebbe facile assistere allo spettacolo sorridendo ma la situazione impone a tutti un surplus di serietà. lei oggi presidente del Consiglio si dimette, tutta Europa ci guarda e ci dice che l’esperimento populista funziona bene in campagna elettorale, un po’ meno al governo», ha ragionato l’ex premier. La logica, dunque, è quella di un governo istituzionale per «rimediare ai danni» dell’esecutivo gialloverde. Anche se lo stesso Renzi ha ammesso di sapere che, anche nel suo gruppo parlamentare, non tutti sono favorevoli all’iniziativa.

A distanza di tastiera, infatti, è intervenuto anche il segretario dem, Nicola Zingaretti, che ha ripreso il «Dov’era il presidente Conte in questi 15 mesi?» già detto da Renzi, ma ha anche frenato rispetto all’ipotesi di un Conte bis: «All’elenco delle cose fatte - ha sottolineato Zingaretti - non può non seguire l’elenco dei disastri prodotti in economia, sul lavoro, sulla crescita, sullo sviluppo. Questo è il vero motivo del pantano nel quale l’Italia è finita. Per questo qualsiasi nuova fase politica non può non partire dal riconoscimento di questi limiti strutturali di quanto avvenuto in questi mesi».

Intanto, però, il dialogo coi 5 Stelle ora è ufficialmente aperto, come ha confermato anche il capogruppo del Pd in Senato, Andrea Marcucci. E qualche punto fermo è stato messo.