«In attesa dell’atteso ed osannato turismo croceristico, l’Italia per alcuni giorni scopre altri esotici viaggi alla volta di Crotone e dintorni. Nel frattempo immarcescibili e sempre più opulente organizzazioni criminali turche (nel caso di specie, tuttavia, emergono appendici strutturali pakistane) brindano all’ultima tragedia umanitaria (il disastroso terremoto che inghiottiva parte della Turchia e della già martoriata Siria) che regalerà ai loro traffici ulteriori miriadi di disperati, disperati disposti a tutto pur di mettersi alle spalle un crudele presente ed un ancor più fosco futuro». Inizia così l’ordinanza di convalida del fermo dei presunti scafisti dello sbarco di Steccato di Cutro, in cui hanno perso la vita almeno 67 persone. Parole, quelle del giudice Michele Ciociola, dal tono quasi ironico, che stridono con la tragedia che si è appena consumata sulle coste calabresi.

«Lungi dall’ergersi alla Cassandra di turno - prosegue il giudice -, chi scrive, gravato dagli orrori dell’ultima mareggiata pitagorica, si accinge a vagliare l’ultimo fermo disposto in materia di immigrazione clandestina. Diversamente dal consueto, il caso di specie registra decine di vittime, vittime di un destino sordo alle loro speranze e di uno stato di necessità non altrimenti fronteggiabile se non mercé disperati viaggi della speranza».

La convalida del fermo si basa sulle testimonianze raccolte nell’immediatezza dalle forze dell’ordine, che hanno dato conto delle fasi della tragedia: dall’avvistamento della costa al brusco dietrofront, fino all’onda che ha spezzato la nave segnando il destino di decine di migranti. Il giudice contesta la «nazionalità eccentrica» dei due fermati rispetto agli altri naufraghi: «La loro provenienza dalla Turchia - afferma - mal si concilia con la pretesa di confondersi tra semplici disperati». E si lancia in un’analisi del fenomeno, sottolineando come «lo sbarco in esame non può essere ritenuto frutto di un epifenomenico accordo tra quattro amici al bar che, imbattutisi per caso fortuito in almeno 180 disperati, decidono di affrontare i perigli del mare per speculare sul desiderio di libertà dei disperati medesimi». Insomma, impossibile non immaginare l’esistenza di un’organizzazione ben più strutturata. Che può contare su «strutture per ospitare i migranti prima della partenza», di un «servizio di trasporto sino ai natanti», con ruoli suddivisi e «canali di pagamento coinvolgenti l’apporto di terzi soggetti». A ciò si associa «il servizio di assistenza marittima (un primo natante veniva sostituito con quello destinato all’inferno a seguito di avarie al motore)», che insieme al resto rappresenta indice sintomatico «di un solo dato fattuale: l’imperversare di una organizzazione. Ai posteri il gravoso compito di raccogliere, valorizzare e riscontrare gli elementi sintomatici già agli atti».

La tragica fine di decine di migranti ha aggravato la posizione dei fermati, ai quali viene contestata anche la morte come conseguenza di altro reato. Un «precipitato inevitabile», afferma il giudice, secondo cui «gli accadimenti di cui all’art. 586 c.p. possono agevolmente essere imputati a titolo colposo agli indagati, emergendo chiaramente i crismi del supposto coefficiente psicologico - si legge nell’ordinanza -. Tanto è dato assumere in ragione dell’elevato numero di passeggeri, delle condizioni del mare, della vetustà del natante, dell’ostinato rifiuto a chiamare i soccorsi, nonché della improvvida manovra in cui si spendevano i nocchieri» per sfuggire alle autorità italiane. «Tutte le circostanze menzionate, difatti, dimostrano la ricorrenza di una sostanziale prevedibilità delle tragiche vicissitudini occorse ai migranti - continua il giudice -. Non dissimile sorte attende il contestato delitto di naufragio colposo in ragione dell’argomentare appena esposto».

A motivare il fermo il pericolo di reiterazione del reato e di fuga. Gli indagati, afferma infatti il giudice, potrebbero compiere «nuove condotte di favoreggiamento di migranti a favore delle organizzazioni di appartenenza, anche sul territorio nazionale».