L’INCONTRO

Il presidente del consiglio italiano va a Washington per mediare sul gas russo. Ora non è più l’anello debole

CENTRALE SARÀ LA QUESTIONE DELL’EMBARGO ENERGETICO

Le cose cambiano in fretta.

Due mesi e mezzo fa Mario Draghi era sospettato, a Washington come a Kiev, di essere l'anello debole della catena europea antirussa, il premier europeo più ostile alle sanzioni allora in discussione. Oggi il premier italiano si accinge a partire per Washington con l'aureola del capo di governo più affidabile tra quelli dei grandi Paesi dell'Unione. Il rovesciamento di giudizio non è arrivato da solo e non è stato gratuito: Draghi ha sterzato probabilmente più di quanto non avrebbe gradito fare. Ha assicurato il semaforo verde a quell'embargo sul gas russo che metterebbe l'economia italiana in ginocchio. Si è dato da fare più di chiunque altro per sostituire rapidamente le forniture di gas russo.

Nonostante i dubbi di mezzo Paese e di una parte congrua della sua stessa maggioranza ha assicurato l'invio di armamentario pesante all'Ucraina, con le mani libere da ogni possibile opposizione parlamentare in virtù di un decreto scritto con astuzia, che garantisce al governo totale libertà di scelta in materia fino al 31 dicembre prossimo. Il premier ha anche evitato qualsiasi passaggio anche solo informativo di fronte alle Camere prima dell'incontro di Washington: si può capire che non intendesse arrivare all'appuntamento con le divisioni nella maggioranza certificate a amplificate da un dibattito parlamentare.

Biden si congratulerà, non risparmierà complimenti, chiederà di procedere sulla via imboccata ma con l'acceleratore a tavoletta. La vera posta in gioco non sono le armi, sia perché le forniture italiane non son determinanti sia perché quella partita è per molti mesi ancora chiusa e difficilmente le insistenze di Conte potranno riaprirla. Il nodo sarà probabilmente la disponibilità dell'Italia ad adoperarsi per arrivare presto all'embargo sul gas russo: dunque non solo ad accettare un'eventuale decisione europea in questo senso, come Draghi ha già fatto, o al non insistere per evitare la sanzione finale, come l'Italia già non fa delegando il compito alla Germania, ma a esercitare la pressione necessaria per arrivare, tra qualche mese, probabilmente non prima del prossimo anno, all'embargo.

Draghi, se davvero il presidente degli Usa insisterà in questo senso, si troverà dunque in una situazione delicata. Il ruolo di principale sponda degli Usa in Europa ha i suoi indubbi vantaggi.

L'Italia mira al tetto sul prezzo del gas, obiettivo contrastato da Germania e Paesi del Nord: l'asse con gli Usa a favore del calmiere sarebbe senza dubbio prezioso. La sostituzione del gas russo con quello liquido americano sarà senza dubbio centrale: non a caso il premier italiano sarà accompagnato dal presidente dell'Eni, a riprova della centralità assoluta delle fonti energetiche nei colloqui americani di Draghi. Allo stesso tempo, però, il rischio di scivolare sempre più lontano dalla cabina di regia europea, che subito prima della guerra sembrava a un passo aumenta.

Draghi insomma deve trovare un punto di equilibrio tra il ruolo di ' Stato di fiducia' degli Usa e quello di Paese tra i più importanti della Ue, tenendo conto del fatto che sulla prospettiva di una guerra di luna durata ( con sanzioni annesse), sul taglio netto delle fonti energetiche russe e anche sul tetto per il costo del gas la disposizione di Francia e Germania è certamente diversa da quella di Washington e Londra. La missione di Draghi, insomma, è molto meno semplice di quanto i toni sia di Washington che di Roma facciano trasparire.

La situazione è altrettanto delicata sul ' fronte interno'.

Quelle di Conte, per ora, sono solo punzecchiature: anche il partito più critico sulla linea durissima degli Usa dopo i 5S, la Lega, si tiene per ora lontana dai toni ormai apertamente polemici di Conte. Ma è solo questione di tempo. Nella prospettiva di una crisi prolungata, e dunque con costi sempre più tangibili per una popolazione che è già in buona parte scettica sulle scelte del governo, il radicalizzarsi della fronda sarà inevitabile. Oltre al gas l'altro capitolo che, ufficialmente o meno, potrebbe tenere banco nei colloqui tra Biden e Draghi è proprio il nodo più fondamentale di tutti: cosa fare di un'iniziativa diplomatica che per ora è semplicemente inesistente.