Tanti, tantissimi non ricordo. E poche certezze su cosa accadesse attorno agli affidi in val d’Enza. Il processo “Angeli e Demoni” va avanti a suon di testimoni. Gli ultimi due ieri, quando in aula a Reggio Emilia è apparsa Giorgia Ricci, educatrice che a sommarie informazioni testimoniali aveva praticamente distrutto i servizi sociali, che facevano pressioni - secondo quanto riportano i verbali delle sue dichiarazioni davanti ai carabinieri per ricondurre tutto a presunti abusi sessuali. Ma di tutto ciò che è stato scritto anni fa dagli investigatori che hanno seguito il caso Ricci non ricorda nulla.

Nemmeno a seguito delle contestazioni della pm Valentina Salvi, che ha letto più volte i verbali per riattivare la memoria della testimone. Ricci, alla fine, ha confermato i verbali, a fronte della firma apposta in calce agli stessi, resi, ha ricordato la magistrata, davanti a pubblici ufficiali quando la sua memoria dei fatti era più fresca. Ma la teste ha ribadito di non ricordare nulla, nemmeno di aver riletto quei documenti che portavano la sua firma. Sono poche, dunque, le informazioni ricavate ieri in aula. Ma alcune sono significative, dal momento che la teste ha cambiato versione sullo stato in cui si trovavano i bambini una volta finiti in mano ai servizi: se all’epoca aveva sostenuto - stando alle sit - che i minori stavano male, ieri in aula ha affermato di averli visti tranquilli e senza particolari traumi da separazione.

Ma a tenere banco, ancora una volta, è stata la polemica tra accusa e difesa. Oliviero Mazza, difensore insieme a Rossella Ognibene dell’assistente sociale Federica Anghinolfi, ha fatto mettere a verbale la propria contrarietà rispetto alle modalità in cui sono state raccolte, all’epoca, le dichiarazioni dei testi, come già fatto nel corso di precedenti udienze: «I due carabinieri che hanno redatto questi verbali erano entrambi presenti in udienza a fianco del pm di fronte al testimone - ha detto -. Verbali terribili, a leggerli, riassuntivi, redatti con l’omissione delle domande, sostituite dall’acronimo “adr”. Un grosso problema, perché ciò rende impossibile valutare l’attendibilità delle risposte, non potendo sapere se la domanda è stata, ad esempio, suggestiva, minatoria o mal posta». Un problema al quale ha tentato di porre rimedio la riforma Cartabia, che ha anche disposto la videoregistrazione degli interrogatori. Salvi ha contestato le obiezioni della difesa sulle domande definite dagli avvocati «suggestive e valutative», in quanto poste dando per accertati fatti ancora tutti da provare. E ha replicato tacciando di «ostruzionismo» i legali degli imputati. Il diritto di difesa, ha commentato Nicola Canestrini, difensore dell’assistente sociale Francesco Monopoli, «sarebbe dunque una forma di ostruzionismo. Mi verrebbe da dire: è il dibattimento, bellezza. È ovvio che il compito della difesa sia quello di incidere sulla formazione della prova, che può essere, normalmente, in senso favorevole o sfavorevole all’accusa».

Nel corso dell’esame, durato circa 10 ore - undici le persone convocate, ma non si è arrivati nemmeno alla conclusione dell’ascolto del secondo teste -, è emerso che in due ore di sit sono state verbalizzate solo quattro domande, a fronte delle «oltre dieci poste». Tra quelle non verbalizzate anche una sulle «voci di paese». «Dei metodi di verbalizzazione bisognerebbe tenere conto - ha evidenziato Canestrini -. Non sono verbali redatti in maniera trasparente, nella misura in cui non consentono alle difese di capire quale fosse la domanda originaria e il contesto. Alcuni termini utilizzati sono chiaramente non riconducibili al testimone, quindi si tratta di un’interpretazione che dovrebbe poter essere valutata». Ricci ha comunque affermato che le decisioni venivano condivise, molto spesso, in equipe, riconoscendo di avere fatto di suo pugno alcune modifiche alle relazioni degli assistenti sociali. E se è capitato che gli educatori si lamentassero di Monopoli è stato solo perché, dovendo seguire molti casi, l’assistente sociale non riusciva ad organizzare in tempi stretti gli incontri tra minori e genitori. Non c’era, dunque, l’intento di troncare i rapporti tra genitori e figli: l’assistente sociale seguiva così tanti casi, ha riferito la responsabile della comunità educativa Roberta Chierici, da non riuscire ad organizzarsi. Inoltre in almeno un caso le educatrici avevano richiesto la sua presenza, dopo che il padre di una minore - quella lasciata sola in casa e “consegnata” ai servizi dai carabinieri - aveva scoperto l’indirizzo privato di una di esse, questione che era motivo di preoccupazione. «Ma anche un’altra educatrice ha dichiarato a sit di essere stata seguita da lui», ha dichiarato Canestrini. In aula è stato ricordato il caso di un bambino trasferito in una comunità familiare, che in auto con Monopoli aveva riferito di avere «cose brutte in testa» e di essere «contento di andare in comunità».

Un falso, secondo la procura, che aveva chiesto conferma della veridicità di tali parole a Ricci. Ma l’educatrice ha dichiarato di non essere sempre stata presente e Monopoli, nella sua relazione, ha indicato le persone che si trovavano con lui durante il trasferimento. «Che senso avrebbe - si è chiesto Canestrini - indicare i testimoni di una cosa che si riconosce come falsa?».